giovedì 31 marzo 2016

Enrico Dindo e Pietro De Maria per “Serate Musicali”

Lunedì 4 aprile alle ore 21.00, i due musicisti saranno protagonisti, al Conservatorio “G. Verdi” di Milano, di un concerto per la Stagione Concertistica di “Serate Musicali”



Enrico Dindo e Pietro De Maria saranno i protagonisti, per la Stagione Concertistica 2015/2016 di “Serate Musicali”, di un concerto lunedì 4 aprile alle ore 21.00, presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano. In programma musiche di Beethoven e Brahms.


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Sala Verdi del Conservatorio “G. Verdi”
Via Conservatorio 12, Milano
Lunedì 4 aprile ore 21.00
                                               
Pianista Pietro De Maria
Violoncellista Enrico Dindo

LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770-1827)
7 Variazioni in mi bemolle maggiore WoO46 sul tema "Bei Männern, welche Liebe fühlen" dell'opera "Il flauto magico" di Wolfgang Amadeus Mozart
Tema. Andante

Sonata per violoncello e pianoforte n. 3 in la maggiore op. 69
Allegro ma non tanto; Scherzo. Allegro molto; Adagio cantabile - Allegro vivace

ROBERT SCHUMANN (1810-1856)
Adagio e Allegro in la bemolle maggiore op. 70
Adagio. Langsam, mit innigem Ausdruck (la bemolle maggiore)
Allegro. Rasch und feurig (la bemolle maggiore). Etwas ruhigert (fa diesis minore). Tempo I

JOHANNES BRAHMS (1833 - 1897)
Sonata per violoncello e pianoforte n. 1 in mi minore op. 38
Allegro non troppo; Allegretto quasi Menuetto e Trio; Allegro


Biglietti: € 20,00 ridotto € 15,00

Il programma (tratto dal libretto di sala)

LUDWIG VAN BEETHOVEN
7 Variazioni in mi bemolle maggiore WoO46 sul tema "Bei Männern, welche Liebe fühlen" dell'opera "Il flauto magico" di Mozart
Composte nel 1801 e pubblicate a Vienna nel 1802 con dedica al conte Johann Georg von Browne, le Variazioni WoO46, lavorate con estrema cura e, si sarebbe detto un tempo, con estrema "distinzione", sembrano, nel contesto dell'opera di Beethoven, un controsenso. Lo schema architettonico non presenta le novità delle Variazioni Wo O 45, l'invenzione di situazioni contrastanti non è così felice come nelle Variazioni op. 66, il linguaggio non è lontano da quello dei kleine Meister, dei piccoli Maestri viennesi che dall'infinito della classicità stavano ricavando lo spazio del Biedermeier. Il concetto di Variazione come parodia stilistica comincia a delinearsi qui: parodia intesa nel senso di ricreazione basata sull'analisi e sulla catalogazione di stili ormai oggettivati, non nel senso di deformazione ironica o grottesca. La parodia giocherà un ruolo di grande rilievo nel lavoro culminante di Beethoven nel campo della Variazione, le Variazioni su un Valzer di Diabelli op. 120. Ma nelle Variazioni Wo O 46 Beethoven non sembra avere piena coscienza delle potenzialità della parodia, e solo nella terza Variazione riesce a definire la ricreazione stilistica in maniera veramente compiuta. L'ultima Variazione dell'op. 66, era amplificata. Dopo l'ultima delle Variazioni Wo O 46 Beethoven apre una Coda che inizia in do minore e che si sviluppa ampiamente, con aperture stilistiche verso il mondo della Sonata op. 30 per pianoforte e violino, che non si erano notate nel corso dell'opera. Molto mondana è la conclusione, con un teatralissimo effetto di allontanamento contraddetto da due clamorosi accordi finali. 

LUDWIG VAN BEETHOVEN
Sonata n.3 in la maggiore op. 69
Sulla copia dedicatoria della Sonata op. 69 Beethoven scrisse «inter lacrimas et luctum», non certo alludendo al carattere dell'opera - che è solare e nobile come poche altre - quanto probabilmente al suo stato d'animo di quei giorni. La Terza Sonata per violoncello aveva cominciato a vedere la luce nel 1807 (gli schizzi dei suoi motivi principali sono infatti mescolati a quelli della Quinta Sinfonia) ma fu ultimata solo all'inizio dell'anno successivo, in un periodo in cui Beethoven era convinto di essere ormai sul punto di abbandonare Vienna - città dove negli ultimi due anni aveva «subito numerose sventure» - e di «diventare un vagabondo». La precarietà materiale, vera causa della sua insicurezza, fu finalmente superata il 1° marzo 1809 quando, messi di fronte alla prospettiva che Beethoven accettasse l'incarico di Kapellmeister offertogli a Kassel da Jerôme Bonaparte, l'arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e Kinsky decisero di passargli un vitalizio di 4000 fiorini annui perché «le necessità della vita non gli siano d'impedimento ne soffochino il suo possente genio» (come si legge nel contratto), a patto però del suo impegno a non lasciare il territorio dell'impero austriaco. A condurre la trattativa con i tre aristocratici per conto di Beethoven fu il barone Ignaz von Gleichenstein, suo carissimo amico nonché ottimo violoncellista dilettante, al quale - probabilmente in segno di riconoscenza - venne dedicata la Sonata op. 69 poco prima che gli editori Breitkopf & Hàrtel la dessero alle stampe, nell'aprile dello stesso 1808. Il considerevole spazio di tempo occorso a Beethoven per mettere a punto l’op. 69 è rivelatore della fatica richiestagli da un lavoro nel quale l'equilibrio tra i piani sonori ed espressivi dei due strumenti raggiunge per la prima volta la perfezione assoluta, caratteristica questa che non è sfuggita ad alcun commentatore dell'opera beethoveniana e che costituisce senz'altro il pregio maggiore della Sonata. Ma ciò che più affascina in essa è quell'atmosfera «tra la Sinfonia e il Concerto», quel senso di calma spaziosità, di nobile eleganza, di retorica misurata che la Sonata op. 69 condivide con lavori del calibro del Concerto per violino, della Sesta Sinfonia, del Quarto e del Quinto Concerto per pianoforte, dei Trii op. 70 e del Trio «Arciduca» op. 97, le opere più significative al tramonto del cosiddetto «periodo eroico» beethoveniano, caratterizzate non più dallo scatenamento di energia concentrata in motivi e ritmi esplosivi e germinali bensì da un'evidente monumentalità ottenuta attraverso ampie melodie e stacchi di tempo moderati. L'attacco dell'Allegro ma non tanto ricorda quello della Sonata «a Kreutzer», della quale l'op. 69 può a ragione ritenersi il corrispettivo violoncellistico: entrambe infatti presentano un assolo dello strumento ad arco seguito da un brillante passaggio al pianoforte poi concluso da una Cadenza. Il bellissimo tema, esposto «in collaborazione» (la prima parte al violoncello, l'altra al piano) e ripetuto a ruoli rovesciati, è il vero motore dell'intero movimento: ne sono contaminati il secondo tema, la Coda e soprattutto la sezione di sviluppo, mentre a esso fa efficacemente da contrasto il vigoroso motivo dell'episodio. Il tempo più singolare, però, è senz'altro lo Scherzo, una pagina livida ed enigmatica nella quale molti hanno visto la più eloquente anticipazione del celeberrimo Allegretto della settima Sinfonia: costruito sulla forma ABABA, esso presenta uno spoglio tema sincopato al quale per due volte fa eco un semplice motivo in modo maggiore, in un clima di introversione davvero insolito per uno «scherzo» beethoveniano. Il successivo, brevissimo Adagio cantabile funge in realtà da introduzione lenta per l'ultimo tempo, un ampio Allegro vivace che, in luogo del Rondò, opta per i più nobili modi della forma-sonata senza tuttavia rinunciare alla saporita leggerezza abituale nella pagina conclusiva di un lavoro cameristico. Entrambi i temi possiedono una luminosa intensità lirica e l'esposizione del secondo, spezzata fra i due strumenti, ricorda quella del primo tema del tempo iniziale, a conferma di un raffinatissimo lavoro di sottili relazioni tra elementi formali e motivici attraverso i vari movimenti, che imparenta questa Sonata alla Quinta Sinfonia ben oltre l'aspetto meramente cronologico.

ROBERT SCHUMANN
Adagio e Allegro in la bemolle maggiore op. 70
L'adattabilità a vari strumenti accompagna l'Adagio e Allegro per corno e pianoforte op. 70, scritto due giorni dopo i 3 Phantasiestücke, il 14 febbraio, e completato nella giornata del 17. Questo brano, infatti, si ascolta spesso con altri strumenti solisti (soprattutto oboe, violino e violoncello) fin da quando Clara Schumann, il 26 gennaio del 1850 a Dresda, ne diede la prima esecuzione pubblica insieme al violinista Franz Schubert (un curioso caso di omonimia con il grande compositore viennese, morto da ventidue anni). Ma già molti mesi prima, il 2 marzo del 1849, Clara aveva fatto ascoltare al marito il suo nuovo lavoro in privato, insieme al cornista della Hofkapelle, Schlitterlau, che era anche suo copista. In quel periodo Schumann era notevolmente interessato al nuovo corno in fa a tre pistoni che era stato introdotto in Germania pochi anni prima da Uhlmann. Infatti il 18 febbraio del 1849, solamente un giorno dopo aver completato l'Adagio e Allegro op. 70, si mise a lavorare al formidabile Konzertstück für vier Ventilhörner (Pezzo da concerto per quattro corni a pistoni), vero e proprio Concerto per quattro corni e orchestra. Anche nell'Adagio e Allegro, pur nelle sue atmosfere più serenamente domestiche, Schumann sperimenta a fondo le risorse tecniche ed espressive del nuovo strumento (che ha qui una delle primissime pagine importanti del suo repertorio solistico), utilizzandolo, praticamente senza interruzioni, in un ambito estremamente ampio di tre ottave e mezza. Il brano, intitolato sul manoscritto originale Romanza e Allegro, è aperto da un intenso e poetico Adagio che sfocia in un trascinante ed euforico Allegro; la ricomparsa in esso di momenti dal tono più meditativo fa emergere per contrasto l'esaltata concitazione delle pagine finali e il pezzo si chiude con quello stesso slancio romantico che anima il Konzerstück per quattro corni, iniziato da Schumann poche ore dopo aver scritto le ultime note di questo Adagio e Allegro.

JOHANNES BRAHMS
Sonata per violoncello e pianoforte n. 1 in mi minore op. 38
La Sonata in mi minore per violoncello e pianoforte op. 38 fu iniziata da Brahms nel 1862, dopo che l'autore aveva svolto una brillante attività pianistica in lunghe tournées in Germania e fuori. Da principio il musicista aveva scritto due movimenti e un Adagio, ma non rimase soddisfatto da quest'ultimo tempo, tanto è vero che accantonò la Sonata per riprenderla poi nel giugno del 1865 e aggiungervi un Finale in forma di fuga. La prima esecuzione ebbe luogo a Lipsia solo il 14 gennaio 1871. Il primo tempo (Allegro non troppo) è avviato da un tema cantabile del violoncello, ripreso e variato dal pianoforte; il dialogo a due si anima e si infittisce, non senza qualche uscita in tono predominante dello strumento a tastiera, prima del discorso serrato e vigoroso tra le varie parti. Il pianoforte si richiama quindi con morbidezza di fraseggio alla frase iniziale, sorrètta dal suono pastoso delle armonie del violoncello. Il secondo tempo (Allegretto quasi minuetto) è contrassegnato da un ritmo danzante, leggermente venato di malinconia, come se fosse un valzer triste. Segue un Trio carezzevole e sospiroso, carico di un lirismo intimamente brahmsiano; una pagina di stupenda e finissima poesia cameristica, prima del ritorno allo stesso tema dell'Allegretto. Il tempo conclusivo è una poderosa e articolata Fuga di inconfondibile impronta bachiana. Del resto Brahms non nascose mai il suo amore per l'arte di Bach di cui trascrisse per pianoforte diversi lavori per organo, diresse - come responsabile della "Gesellschaft der Musikfreunde" a Vienna - la maggior parte delle più impegnative composizioni corali e fu uno dei primi sottoscrittori e fedeli sostenitori delle pubblicazioni annuali delle "Opere complete di Bach" edite da Breitkopf e Härtel.

ENRICO DINDO
Nato in una famiglia di musicisti, inizia a sei anni lo studio del violoncello diplomandosi presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. Nel 1997 vince il Primo Premio al Concorso "Rostropovich" di Parigi, da quel momento inizia un’attività da solista che lo porta a esibirsi in moltissimi Paesi, con orchestre quali: BBC Philharmonic, Rotterdam Philharmonic, Orchestre Nationale de France, Orchestre du Capitole de Toulouse, Filarmonica della Scala, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, la Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestra Sinfonica di Stato di Sao Paulo, Tokyo Symphony, Toronto Symphony e Chicago Symphony al fianco di Chailly, Ceccato, Noseda, Myung-Whun Chung, Järvj, Gergev, Muti e Rostropovich. É ospite in numerosi festivals e sale da concerto di tutto il mondo: Londra (Wigmore Hall), Parigi, Evian, Montpellier, Santiago de Compostela; ha partecipato allo Spring Festival di Budapest, alle Settimane Musicali di Stresa, al Festival delle Notti Bianche di San Pietroburgo. Ospite regolare dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, nel 2010 e nel 2013 è stato in tournée con l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, diretta da Chailly. Tra gli impegni recenti ricordiamo: Copenhagen con la Danish National Orchestra, Tel Aviv con la Israel Symphony, Zagabria e Roma con l’Orchestra di Santa Cecilia. Tra gli autori che hanno creato musiche a lui dedicate, Giulio Castagnoli, Carlo Boccadoro, Carlo Galante e Roberto Molinelli. Direttore stabile dell’Orchestra da camera “I Solisti di Pavia”, ensemble da lui creato, insegna presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, presso la Pavia Cello Academy e ai corsi estivi dell’Accademia T. Varga di Sion. Nel 2012 è stato nominato Accademico di Santa Cecilia, nel 2014 direttore musicale e principale dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Zagabria. Il suo ultimo CD è dedicato ai due Concerti di Haydn, con I Solisti di Pavia. Nel 2012 è stato pubblicato il CD con i Concerti di Shostakovich, con la Danish National Orchestra, diretta da Noseda. Enrico Dindo suona un violoncello Pietro Giacomo Rogeri (ex Piatti) del 1717 affidatogli dalla Fondazione Pro Canale.

PIETRO DE MARIA
Dopo aver vinto il Premio della Critica al Concorso Ciaikovski di Mosca nel 1990, ha ricevuto il Primo Premio al Concorso Internazionale Dino Ciani - Teatro alla Scala di Milano (1990) e al Géza Anda di Zurigo (1994). Nel 1997 gli è stato assegnato il Premio Mendelssohn ad Amburgo. La sua intensa attività concertistica lo vede solista con orchestre e con direttori quali R.Abbado, Bertini, Myung-Whun Chung, Fedoseyev, Gatti, Gilbert, Inbal, Janowski, Koopman, Mariotti, Metzmacher, Noseda, Rovaris, Végh. Nato a Venezia nel 1967, ha iniziato lo studio del pianoforte con Giorgio Vianello e si è diplomato con Gino Gorini al Conservatorio della sua città, perfezionandosi successivamente con Maria Tipo al Conservatorio di Ginevra, dove ha conseguito nel 1988 il Premier Prix de Virtuosité con distinzione. Il suo repertorio spazia da Bach a Ligeti ed è il primo pianista italiano ad aver eseguito pubblicamente l’Integrale delle opere di Chopin, che ha ricevuto importanti riconoscimenti tra cui Diapason, International Piano e Pianiste. Nel 2010 De Maria è stato invitato a suonare programmi chopiniani a Berlino, Parigi, Varsavia, Zurigo, Roma, Festival di Nohant, Pechino e Singapore, in occasione del bicentenario della nascita del compositore polacco. Dal 2012 è impegnato in un progetto bachiano con l’esecuzione e la registrazione dei due libri del Clavicembalo ben temperato e delle Variazioni Goldberg. De Maria insegna alla Scuola di Musica di Fiesole, all’Accademia di Musica di Pinerolo e al Musikdorf di Ernen in Svizzera.


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Adriana Benignetti