Lunedì 4 aprile alle ore 21.00, i due musicisti saranno protagonisti, al Conservatorio
“G. Verdi” di Milano, di un concerto per la Stagione Concertistica di “Serate
Musicali”
Enrico Dindo e Pietro De Maria
saranno i protagonisti, per la Stagione Concertistica 2015/2016 di
“Serate Musicali”, di un concerto lunedì 4 aprile alle ore 21.00, presso
il Conservatorio “G. Verdi” di Milano. In programma musiche di Beethoven e
Brahms.
Sala Verdi del Conservatorio “G. Verdi”
Via Conservatorio 12, Milano
Lunedì 4
aprile ore 21.00
Pianista Pietro
De Maria
Violoncellista Enrico Dindo
LUDWIG VAN BEETHOVEN
(1770-1827)
7 Variazioni in mi
bemolle maggiore WoO46 sul tema "Bei Männern, welche Liebe fühlen"
dell'opera "Il flauto magico" di Wolfgang Amadeus Mozart
Tema.
Andante
Sonata per violoncello
e pianoforte n. 3 in la maggiore op. 69
Allegro
ma non tanto; Scherzo. Allegro molto; Adagio cantabile - Allegro vivace
ROBERT SCHUMANN (1810-1856)
Adagio e Allegro in la
bemolle maggiore op. 70
Adagio.
Langsam, mit innigem Ausdruck (la bemolle maggiore)
Allegro.
Rasch und feurig (la bemolle maggiore). Etwas ruhigert (fa diesis minore).
Tempo I
JOHANNES BRAHMS (1833 -
1897)
Sonata per violoncello
e pianoforte n. 1 in mi minore op. 38
Allegro
non troppo; Allegretto quasi Menuetto e Trio; Allegro
Biglietti: € 20,00 ridotto € 15,00
Il
programma (tratto dal libretto di sala)
LUDWIG VAN BEETHOVEN
7 Variazioni in mi
bemolle maggiore WoO46 sul tema "Bei Männern, welche Liebe fühlen"
dell'opera "Il flauto magico" di Mozart
Composte
nel 1801 e pubblicate a Vienna nel 1802 con dedica al conte Johann Georg von
Browne, le Variazioni WoO46, lavorate con estrema cura e, si sarebbe detto un
tempo, con estrema "distinzione", sembrano, nel contesto dell'opera
di Beethoven, un controsenso. Lo schema architettonico non presenta le novità
delle Variazioni Wo O 45, l'invenzione di situazioni contrastanti non è così
felice come nelle Variazioni op. 66, il linguaggio non è lontano da quello dei
kleine Meister, dei piccoli Maestri viennesi che dall'infinito della classicità
stavano ricavando lo spazio del Biedermeier. Il concetto di Variazione come
parodia stilistica comincia a delinearsi qui: parodia intesa nel senso di
ricreazione basata sull'analisi e sulla catalogazione di stili ormai
oggettivati, non nel senso di deformazione ironica o grottesca. La parodia
giocherà un ruolo di grande rilievo nel lavoro culminante di Beethoven nel
campo della Variazione, le Variazioni su un Valzer di Diabelli op. 120. Ma nelle
Variazioni Wo O 46 Beethoven non sembra avere piena coscienza delle
potenzialità della parodia, e solo nella terza Variazione riesce a definire la
ricreazione stilistica in maniera veramente compiuta. L'ultima Variazione
dell'op. 66, era amplificata. Dopo l'ultima delle Variazioni Wo O 46 Beethoven
apre una Coda che inizia in do minore e che si sviluppa ampiamente, con
aperture stilistiche verso il mondo della Sonata op. 30 per pianoforte e
violino, che non si erano notate nel corso dell'opera. Molto mondana è la
conclusione, con un teatralissimo effetto di allontanamento contraddetto da due
clamorosi accordi finali.
LUDWIG VAN
BEETHOVEN
Sonata n.3 in la
maggiore op. 69
Sulla
copia dedicatoria della Sonata op. 69 Beethoven scrisse «inter lacrimas et
luctum», non certo alludendo al carattere dell'opera - che è solare e nobile
come poche altre - quanto probabilmente al suo stato d'animo di quei giorni. La
Terza Sonata per violoncello aveva cominciato a vedere la luce nel 1807 (gli
schizzi dei suoi motivi principali sono infatti mescolati a quelli della Quinta
Sinfonia) ma fu ultimata solo all'inizio dell'anno successivo, in un periodo in
cui Beethoven era convinto di essere ormai sul punto di abbandonare Vienna -
città dove negli ultimi due anni aveva «subito numerose sventure» - e di
«diventare un vagabondo». La precarietà materiale, vera causa della sua
insicurezza, fu finalmente superata il 1° marzo 1809 quando, messi di fronte
alla prospettiva che Beethoven accettasse l'incarico di Kapellmeister offertogli
a Kassel da Jerôme Bonaparte, l'arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e
Kinsky decisero di passargli un vitalizio di 4000 fiorini annui perché «le
necessità della vita non gli siano d'impedimento ne soffochino il suo possente
genio» (come si legge nel contratto), a patto però del suo impegno a non
lasciare il territorio dell'impero austriaco. A condurre la trattativa con i
tre aristocratici per conto di Beethoven fu il barone Ignaz von Gleichenstein,
suo carissimo amico nonché ottimo violoncellista dilettante, al quale -
probabilmente in segno di riconoscenza - venne dedicata la Sonata op. 69 poco
prima che gli editori Breitkopf & Hàrtel la dessero alle stampe,
nell'aprile dello stesso 1808. Il considerevole spazio di tempo occorso a
Beethoven per mettere a punto l’op. 69 è rivelatore della fatica richiestagli
da un lavoro nel quale l'equilibrio tra i piani sonori ed espressivi dei due
strumenti raggiunge per la prima volta la perfezione assoluta, caratteristica
questa che non è sfuggita ad alcun commentatore dell'opera beethoveniana e che
costituisce senz'altro il pregio maggiore della Sonata. Ma ciò che più
affascina in essa è quell'atmosfera «tra la Sinfonia e il Concerto», quel senso
di calma spaziosità, di nobile eleganza, di retorica misurata che la Sonata op.
69 condivide con lavori del calibro del Concerto per violino, della Sesta
Sinfonia, del Quarto e del Quinto Concerto per pianoforte, dei Trii op. 70 e
del Trio «Arciduca» op. 97, le opere più significative al tramonto del
cosiddetto «periodo eroico» beethoveniano, caratterizzate non più dallo
scatenamento di energia concentrata in motivi e ritmi esplosivi e germinali
bensì da un'evidente monumentalità ottenuta attraverso ampie melodie e stacchi
di tempo moderati. L'attacco dell'Allegro ma non tanto ricorda quello della
Sonata «a Kreutzer», della quale l'op. 69 può a ragione ritenersi il
corrispettivo violoncellistico: entrambe infatti presentano un assolo dello
strumento ad arco seguito da un brillante passaggio al pianoforte poi concluso
da una Cadenza. Il bellissimo tema, esposto «in collaborazione» (la prima parte
al violoncello, l'altra al piano) e ripetuto a ruoli rovesciati, è il vero
motore dell'intero movimento: ne sono contaminati il secondo tema, la Coda e
soprattutto la sezione di sviluppo, mentre a esso fa efficacemente da contrasto
il vigoroso motivo dell'episodio. Il tempo più singolare, però, è senz'altro lo
Scherzo, una pagina livida ed enigmatica nella quale molti hanno visto la più
eloquente anticipazione del celeberrimo Allegretto della settima Sinfonia:
costruito sulla forma ABABA, esso presenta uno spoglio tema sincopato al quale
per due volte fa eco un semplice motivo in modo maggiore, in un clima di
introversione davvero insolito per uno «scherzo» beethoveniano. Il successivo, brevissimo
Adagio cantabile funge in realtà da introduzione lenta per l'ultimo tempo, un
ampio Allegro vivace che, in luogo del Rondò, opta per i più nobili modi della
forma-sonata senza tuttavia rinunciare alla saporita leggerezza abituale nella
pagina conclusiva di un lavoro cameristico. Entrambi i temi possiedono una
luminosa intensità lirica e l'esposizione del secondo, spezzata fra i due
strumenti, ricorda quella del primo tema del tempo iniziale, a conferma di un
raffinatissimo lavoro di sottili relazioni tra elementi formali e motivici
attraverso i vari movimenti, che imparenta questa Sonata alla Quinta Sinfonia
ben oltre l'aspetto meramente cronologico.
ROBERT SCHUMANN
Adagio e Allegro in la
bemolle maggiore op. 70
L'adattabilità
a vari strumenti accompagna l'Adagio e Allegro per corno e pianoforte op. 70,
scritto due giorni dopo i 3 Phantasiestücke, il 14 febbraio, e completato nella
giornata del 17. Questo brano, infatti, si ascolta spesso con altri strumenti
solisti (soprattutto oboe, violino e violoncello) fin da quando Clara Schumann,
il 26 gennaio del 1850 a Dresda, ne diede la prima esecuzione pubblica insieme
al violinista Franz Schubert (un curioso caso di omonimia con il grande
compositore viennese, morto da ventidue anni). Ma già molti mesi prima, il 2
marzo del 1849, Clara aveva fatto ascoltare al marito il suo nuovo lavoro in
privato, insieme al cornista della Hofkapelle, Schlitterlau, che era anche suo
copista. In quel periodo Schumann era notevolmente interessato al nuovo corno
in fa a tre pistoni che era stato introdotto in Germania pochi anni prima da
Uhlmann. Infatti il 18 febbraio del 1849, solamente un giorno dopo aver
completato l'Adagio e Allegro op. 70, si mise a lavorare al formidabile
Konzertstück für vier Ventilhörner (Pezzo da concerto per quattro corni a
pistoni), vero e proprio Concerto per quattro corni e orchestra. Anche
nell'Adagio e Allegro, pur nelle sue atmosfere più serenamente domestiche,
Schumann sperimenta a fondo le risorse tecniche ed espressive del nuovo strumento
(che ha qui una delle primissime pagine importanti del suo repertorio
solistico), utilizzandolo, praticamente senza interruzioni, in un ambito
estremamente ampio di tre ottave e mezza. Il brano, intitolato sul manoscritto
originale Romanza e Allegro, è aperto da un intenso e poetico Adagio che sfocia
in un trascinante ed euforico Allegro; la ricomparsa in esso di momenti dal
tono più meditativo fa emergere per contrasto l'esaltata concitazione delle
pagine finali e il pezzo si chiude con quello stesso slancio romantico che
anima il Konzerstück per quattro corni, iniziato da Schumann poche ore dopo
aver scritto le ultime note di questo Adagio e Allegro.
JOHANNES BRAHMS
Sonata per violoncello
e pianoforte n. 1 in mi minore op. 38
La
Sonata in mi minore per violoncello e pianoforte op. 38 fu iniziata da Brahms
nel 1862, dopo che l'autore aveva svolto una brillante attività pianistica in
lunghe tournées in Germania e fuori. Da principio il musicista aveva scritto
due movimenti e un Adagio, ma non rimase soddisfatto da quest'ultimo tempo,
tanto è vero che accantonò la Sonata per riprenderla poi nel giugno del 1865 e
aggiungervi un Finale in forma di fuga. La prima esecuzione ebbe luogo a Lipsia
solo il 14 gennaio 1871. Il primo tempo (Allegro non troppo) è avviato da un
tema cantabile del violoncello, ripreso e variato dal pianoforte; il dialogo a
due si anima e si infittisce, non senza qualche uscita in tono predominante
dello strumento a tastiera, prima del discorso serrato e vigoroso tra le varie
parti. Il pianoforte si richiama quindi con morbidezza di fraseggio alla frase
iniziale, sorrètta dal suono pastoso delle armonie del violoncello. Il secondo
tempo (Allegretto quasi minuetto) è contrassegnato da un ritmo danzante,
leggermente venato di malinconia, come se fosse un valzer triste. Segue un Trio
carezzevole e sospiroso, carico di un lirismo intimamente brahmsiano; una
pagina di stupenda e finissima poesia cameristica, prima del ritorno allo
stesso tema dell'Allegretto. Il tempo conclusivo è una poderosa e articolata
Fuga di inconfondibile impronta bachiana. Del resto Brahms non nascose mai il
suo amore per l'arte di Bach di cui trascrisse per pianoforte diversi lavori
per organo, diresse - come responsabile della "Gesellschaft der
Musikfreunde" a Vienna - la maggior parte delle più impegnative
composizioni corali e fu uno dei primi sottoscrittori e fedeli sostenitori
delle pubblicazioni annuali delle "Opere complete di Bach" edite da
Breitkopf e Härtel.
ENRICO DINDO
Nato
in una famiglia di musicisti, inizia a sei anni lo studio del violoncello
diplomandosi presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. Nel 1997
vince il Primo Premio al Concorso "Rostropovich" di Parigi, da quel
momento inizia un’attività da solista che lo porta a esibirsi in moltissimi
Paesi, con orchestre quali: BBC Philharmonic, Rotterdam Philharmonic, Orchestre
Nationale de France, Orchestre du Capitole de Toulouse, Filarmonica della
Scala, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Orchestra dell’Accademia di
Santa Cecilia, la Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestra Sinfonica di Stato
di Sao Paulo, Tokyo Symphony, Toronto Symphony e Chicago Symphony al fianco di
Chailly, Ceccato, Noseda, Myung-Whun Chung, Järvj, Gergev, Muti e Rostropovich.
É ospite in numerosi festivals e sale da concerto di tutto il mondo: Londra
(Wigmore Hall), Parigi, Evian, Montpellier, Santiago de Compostela; ha
partecipato allo Spring Festival di Budapest, alle Settimane Musicali di
Stresa, al Festival delle Notti Bianche di San Pietroburgo. Ospite regolare dell’Orchestra
dell’Accademia di Santa Cecilia, nel 2010 e nel 2013 è stato in tournée con
l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, diretta da Chailly. Tra gli impegni
recenti ricordiamo: Copenhagen con la Danish National Orchestra, Tel Aviv con
la Israel Symphony, Zagabria e Roma con l’Orchestra di Santa Cecilia. Tra gli
autori che hanno creato musiche a lui dedicate, Giulio Castagnoli, Carlo
Boccadoro, Carlo Galante e Roberto Molinelli. Direttore stabile dell’Orchestra
da camera “I Solisti di Pavia”, ensemble da lui creato, insegna presso il
Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, presso la Pavia Cello Academy
e ai corsi estivi dell’Accademia T. Varga di Sion. Nel 2012 è stato nominato
Accademico di Santa Cecilia, nel 2014 direttore musicale e principale
dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Zagabria. Il suo ultimo CD è dedicato
ai due Concerti di Haydn, con I Solisti di Pavia. Nel 2012 è stato pubblicato
il CD con i Concerti di Shostakovich, con la Danish National Orchestra, diretta
da Noseda. Enrico Dindo suona un violoncello Pietro Giacomo Rogeri (ex Piatti)
del 1717 affidatogli dalla Fondazione Pro Canale.
PIETRO DE MARIA
Dopo
aver vinto il Premio della Critica al Concorso Ciaikovski di Mosca nel 1990, ha
ricevuto il Primo Premio al Concorso Internazionale Dino Ciani - Teatro alla
Scala di Milano (1990) e al Géza Anda di Zurigo (1994). Nel 1997 gli è stato
assegnato il Premio Mendelssohn ad Amburgo. La sua intensa attività
concertistica lo vede solista con orchestre e con direttori quali R.Abbado,
Bertini, Myung-Whun Chung, Fedoseyev, Gatti, Gilbert, Inbal, Janowski, Koopman,
Mariotti, Metzmacher, Noseda, Rovaris, Végh. Nato a Venezia nel 1967, ha
iniziato lo studio del pianoforte con Giorgio Vianello e si è diplomato con
Gino Gorini al Conservatorio della sua città, perfezionandosi successivamente
con Maria Tipo al Conservatorio di Ginevra, dove ha conseguito nel 1988 il
Premier Prix de Virtuosité con distinzione. Il suo repertorio spazia da Bach a
Ligeti ed è il primo pianista italiano ad aver eseguito pubblicamente
l’Integrale delle opere di Chopin, che ha ricevuto importanti riconoscimenti
tra cui Diapason, International Piano e Pianiste. Nel 2010 De Maria è stato
invitato a suonare programmi chopiniani a Berlino, Parigi, Varsavia, Zurigo,
Roma, Festival di Nohant, Pechino e Singapore, in occasione del bicentenario
della nascita del compositore polacco. Dal 2012 è impegnato in un progetto
bachiano con l’esecuzione e la registrazione dei due libri del Clavicembalo ben
temperato e delle Variazioni Goldberg. De Maria insegna alla Scuola di Musica
di Fiesole, all’Accademia di Musica di Pinerolo e al Musikdorf di Ernen in
Svizzera.
PER
BIGLIETTI SCONTATI scrivi a: [email protected]
Adriana Benignetti