Dramma lirico in un prologo e tre atti
MUSICA
Libretto
Temistocle Solera (Ferrara, 1815 - Milano, 1878), da Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner (Königsberg, 1768 – Vienna, 1823)
Prima rappresentazione
Venezia, Teatro La Fenice, 17 marzo 1846
Personaggi
Attila, re degli Unni (Basso)
Ezio, generale romano (Baritono)
Odabella, figlia del signore di Aquileja (Soprano)
Foresto, cavaliere aquileiese (Tenore)
Uldino, giovane bretone schiavo di Attila (Tenore)
Leone, vecchio romano (Basso)
Sei Anziani, duci, re e soldati, Unni, Gepidi, Ostrogoti, Eruli, Turingi, Quadi, Druidi, sacerdotesse, popolo, uomini e donne d’Aquileja, donzelle di Aquileja in abito guerriero, ufficiali e soldati romani, vergini e fanciulli di Roma, eremiti, schiavi, guerrieri
L’azione si svolge intorno alla metà del V secolo, ad Aquileja e nelle lagune Adriatiche nel prologo; a Roma negli altri atti.
ARGOMENTO
Prologo
Odabella, figlia del signore di Aquileia, ha visto morire l’intera famiglia per mano degli Unni che hanno conquistato e distrutto la sua città; intende, perciò, spinta dall’amor di patria, vendicarsi di Attila, loro signore, uccidendolo. Il generale Ezio offre ad Attila un’alleanza per salvare l’Italia, ma il re degli Unni rifiuta sdegnosamente l’accordo.
Attila, Prologo, Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, dir. Riccardo Muti, Samuel Ramey (Attila), Giorgio Zancanaro (Ezio)
Atto I
Gli Unni sono giunti ormai alle porte di Roma e sono pronti a conquistarla. Odabella informa il suo amato Foresto del piano di vendetta contro Attila; quest’ultimo, turbato da un sogno, dopo essersi imbattuto in Leone, vecchio romano, rinuncia alla conquista di Roma.
Attila, finale del I atto, Opernwerkstatt Wien 2005
Atto II
Attila prepara un banchetto in onore di Ezio. Odabella informa Attila che è in atto una congiura contro di lui (in realtà, la donna vuole ucciderlo con le sue mani); Foresto confessa il piano. Il re degli Unni perdona Foresto e, commosso dal gesto della donna, decide di sposarla assicurando Ezio che non conquisterà Roma.
Attila, II atto, Recitativo e aria di Ezio
Atto III
Foresto, Ezio e Odabella affrontano Attila, il quale, comprendendo che i tre vogliono ucciderlo, ricorda al generale di aver salvato Roma, a Foresto di averlo perdonato e a Odabella di volerla sposare. Troppo tardi: Odabella trafigge a morte il re mentre i romani combattono i barbari.
Attila, III atto, Teatro San Carlo di Napoli
Libretto
Temistocle Solera, che aveva già scritto i libretti delle opere Oberto, conte di San Bonifacio, Nabucco, I Lombardi alla prima crociata e Giovanna d’Arco, fu incaricato da Giuseppe Verdi di preparare il testo di Attila, dalla tragedia Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner. Solera aveva, però, modificato profondamente, l’opera originaria, delineando una storia di odii e vendette con personaggi poco delineati. Nell’autunno del 1845 Giuseppe Verdi aveva già ricevuto la quasi totalità del testo, ma non era completamente soddisfatto; autorizzato dallo stesso Solera, che nel frattempo si era trasferito a Madrid, il compositore chiese a Francesco Maria Piave di completare il libretto. Piave, in realtà, oltre a scrivere interamente il terzo atto, effettuò anche modifiche sul resto del testo; il suo intervento fu così profondo, da offendere Solera, determinando la fine del sodalizio tra quest’ultimo e Verdi.
Hanno detto su Attila
Una nuova rappresentazione di un’opera giovanile di Verdi come Attila invita a una riflessione: perché, tra i grandi operisti italiani (Rossini, Bellini, Donizetti, Puccini), Verdi sembra prevalere nell’ammirazione collettiva? Perché il nostro musicista parmense – barbuto come un profeta – gode più degli altri di quest’aura biblica di padre della patria? Il discorso sarebbe lungo, ma forse una risposta breve c’è: nell’Italia divisa dell’età risorgimentale, la sua musica a volte rozza, ma certo battagliera, i suoi personaggi tutti d’un pezzo e incapaci di doppiezze incarnavano l’esatto contrario del prudente timore nel quale molti italiani vivevano. Una ventata di eroismo plebeo rinfrancava ed eccitava ascoltatori “moderati” che si vergognavano un po’ di lasciare ad altri il compito di unire l’Italia. Il dramma lirico Attila venne composto per il Teatro La Fenice di Venezia dove fu rappresentato nel carnevale del 1846. Si trattava di una storia “locale”: nel quinto secolo dopo Cristo avvenne infatti la distruzione di Aquileja ad opera delle orde barbariche guidate dal celebre re degli Unni. Attila - gloria nazionale dell’Ungheria - non ha mai goduto di buona stampa in Italia. Però Verdi optò per una via di mezzo: fece trarre il libretto da una tragedia tedesca, Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner, nel quale il condottiero ha una sua lealtà e non viene presentato solo come uno stragista sanguinario e brutale. Per esempio è turbato da sogni che si avverano. C’è un passo nel prologo in cui due versi hanno diviso i commentatori: “avrai tu l’universo, / Resti l’Italia a me”, intonati dal generale romano Ezio. Al di là dell’entusiasmo che suscitavano allora al primo ascolto, si trattava di un mercanteggiamento ben poco eroico... Ma il “flagello di Dio” trova pane per i suoi denti nella guerriera italica Odabella, ben più furibonda del di lei fidanzato Foresto, anch’egli alla ricerca del riscatto per la distruzione della loro Aquileja. L’aggressività patriottica della fiammeggiante vergine la porta persino a interrompere l’avvelenamento del condottiero pur di poter far giustizia lei in persona. Accetta addirittura di sposarlo, e quando Foresto sta per trafiggere Attila è lei a precederlo d’un soffio con la sua spada vendicatrice. Una storia ingenua, ma con grandi colpi di scena e tanto amor di patria. Il libretto venne commissionato a Temistocle Solera, l’autore del libretto di Nabucco. Però Verdi a un certo punto lo sfiduciò, affidando il completamento a un altro patriota, Francesco Maria Piave, non perché fosse veneziano (e per la precisione dell’isola di Murano), e quindi anti-Attila, ma perché era di natura più accomodante e pronto a soddisfare le richieste dell’esigente musicista. Attila è dunque opera risorgimentale e, come opera politica, segna il trionfo delle teste calde, spesso criticabili, ma, nel nostro profondo, altrettanto spesso ammirevoli. Lo spettacolo del regista Gabriele Lavia, nella sua ambientazione in un mondo distrutto - un teatro romano, un teatro d’opera, un cinema – coglie inizialmente nell’opera il buio della barbarie, ma per poter far meglio esplodere la luce della libertà.
Franco Pulcini, L’unno e l’italica valchiria (dal sito del Teatro alla Scala)
Dalla tragedia Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner, un dramma ispirato dal nazionalismo germanico, Verdi trasse il soggetto di una delle sue opere giovanili più infuocate: un’opera che di lì a poco avrebbe infiammato le platee risorgimentali, pronte a interpretarla come un invito esplicito alla rivolta contro l’oppressione straniera. Quello trattato da Werner era un tipico soggetto romantico, ambientato in quel Medioevo barbarico che scatenava la fantasia dei letterati coevi e che non mancò di stimolare anche quella di Verdi. Sulla scelta del maestro esercitò, a quanto pare, un forte influsso la lettura di De l’Allemagne di Madame de Staël, in cui è riassunto il dramma di Werner.
[…]
Verdi si prende molta cura nel delineare i personaggi. Un’importanza centrale spetta alla figura di Odabella, responsabile di buona parte dell’attrazione esercitata dal soggetto su Verdi. La sua doppia personalità – guerriera indomita e al tempo stesso fanciulla sensibile agli affetti – assicura l’interesse drammatico del personaggio, senza contare che i sentimenti dai quali è dominato il suo forte temperamento, il desiderio di vendetta e l’amor filiale, sono entrambi spiccatamente melodrammatici. Verdi concepisce la parte per Sofia Loewe (che già era stata la prima Elvira in Ernani), un soprano dotato di estensione e agilità: si spiegano così brani come la sua cavatina d’esordio, eccezionalmente sviluppata e vocalmente impegnativa, che scardina più d’una convenzione melodrammatica facendo già pensare a quella che sarà la vocalità di una Lady Macbeth. Ma il personaggio stimola la fantasia di Verdi anche in altri modi, ad esempio con la strumentazione straordinariamente raffinata che accompagna la sua romanza nel primo atto, “Oh! nel fuggente nuvolo”. Anche gli altri personaggi, del resto, sono tratteggiati con cura. Attila personaggio non meno complesso, diviso tra la sete barbarica di conquista e il terrore ispiratogli dal soprannaturale; così la scena del sogno e poi l’incontro col vecchio Leone raggiungono una straordinaria concentrazione emotiva. Più convenzionale, semmai, è il tenore Foresto, che incarna lo stereotipo dell’innamorato languido, passivo e ben poco eroico: i suoi interventi corrispondono all’espressione codificata (e convenzionale) del dolore, del rimpianto di una felicità perduta. Della romanza che Foresto intona nell’ultimo atto esistono due versioni alternative, la prima scritta da Verdi per il tenore Nicola Ivanoff (“Sventurato! alla mia vita”) che la eseguì al Teatro Grande di Trieste nell’autunno del 1846, la seconda (“Oh dolore! ed io vivea) per Napoleone Moriani, che la intonò alla Scala nel dicembre dello stesso anno: entrambe corrispondono allo stereotipo dell’amante tradito che si lamenta dell’amata infedele.
[…]
L’esito della prima rappresentazione, il 17 marzo 1846 al Teatro La Fenice di Venezia, non fu del tutto soddisfacente, malgrado Verdi nutrisse alte aspettative. Le prime parti, pare, non erano in perfetta forma e la loro interpretazione lasciò parecchio a desiderare. L’opera, nondimeno, divenne presto molto popolare, dal momento che interpretava i fermenti che agitavano ampi strati della società italiana e che di lì a poco si sarebbero concretizzati nella rivoluzione del 1848 e nelle guerre risorgimentali. Così per tutti gli anni Cinquanta dell’Ottocento Attila fu sulla breccia nei teatri della Penisola, anche per motivi estranei al suo valore puramente drammatico-musicale. In seguito, anche se l’opera non uscì mai del tutto di repertorio, le rappresentazioni di Attila subirono una forte contrazione, seguendo il destino di tutte le altre opere verdiane precedenti Rigoletto. Spetterà alla renaissance novecentesca restituire all’opera il posto che giustamente le spetta.
Claudio Toscani, Attila. L’opera in breve (dal sito del Teatro alla Scala)
A.B.