Melodramma
in un prologo e tre atti
Musica
Giuseppe Verdi (Le Roncole, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio
1901)
Libretto
Francesco Maria Piave (Murano, 18 maggio 1810 – Milano, 5 marzo
1876), dal dramma Simón Bocanegra di
Antonio García-Gutiérrez, con aggiunte e modifiche di Arrigo Boito (Padova, 24 febbraio 1842 - Milano, 10 giugno 1918) per la seconda versione
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 12 marzo
1857 (seconda versione: Milano, Teatro alla Scala, 24 marzo 1881)
Personaggi
Prologo
Simon Boccanegra, corsaro al servizio della repubblica genovese (baritono)
Simon Boccanegra, corsaro al servizio della repubblica genovese (baritono)
Jacopo
Fiesco, nobile genovese (basso)
Paolo
Albiani, filatore d’oro, genovese (baritono)
Pietro,
popolano di Genova (basso)
Marinai,
popolo, domestici di Fiesco.
Personaggi dei tre atti
Simon
Boccanegra, corsaro al servizio della repubblica genovese (baritono)
María Boccanegra, sua figlia, sotto il nome di Amelia
Grimaldi (soprano)
Jacopo
Fiesco, nobile genovese, sotto il nome di Andrea (basso)
Gabriele
Adorno, gentiluomo genovese (tenore)
Paolo
Albiani, cortigiano favorito del doge (baritono)
Pietro,
altro cortigiano (baritono)
Un
capitano dei balestrieri (tenore)
Un’ancella
di Amelia (mezzosoprano)
Soldati,
marinai, popolo, senatori, corte del Doge, prigionieri africani
Le vicende si svolgono a Genova e
nelle sue vicinanze
Epoca:
1339 (Prologo) e 1363 (tre atti)
La
trama
PROLOGO
Siamo a Genova, di
notte, in una piazza sulla quale si affaccia il Palazzo Fieschi. Il nuovo doge
sta per essere eletto e in città si scontrano il partito plebeo, capeggiato dal
popolano Paolo Albiani, e il partito aristocratico, legato al nobile Jacopo Fiesco.
Paolo confida al popolano Pietro di sostenere l’ascesa al trono dogale di
Simone Boccanegra, un corsaro che ha reso grandi servigi alla Repubblica
genovese, e di attendersi in cambio potere e ricchezza. Giunge Simone,
angosciato perché da molto tempo non ha più notizie di Maria, che gli ha dato
una figlia e che per questo è tenuta prigioniera nel palazzo gentilizio del
padre Jacopo Fiesco. Paolo convince il recalcitrante Simone ad accettare la
candidatura facendogli intendere chiaramente che, una volta eletto doge,
nessuno potrà più negargli le nozze con Maria. Pietro chiede al popolo di
votare per Simone e avverte che dal palazzo dei Fieschi giungono dei lamenti di
donne. Tutti si allontanano. Jacopo Fiesco esce sconvolto dal palazzo: Maria è
morta. Sopraggiunge Simone e, ignaro di quanto è accaduto, supplica Fiesco di
perdonarlo e concedergli Maria. Quando il patrizio gli pone come condizione la
consegna della nipote, egli confessa che la bambina fu da lui affidata ad
un’anziana nutrice in un paese lontano, ma poi la nutrice morì e la bambina
scomparve. Svanita ogni speranza di riappacificazione, Fiesco finge di
allontanarsi ma di nascosto osserva Simone, che entra nel palazzo in cerca
della donna che scopre morta. Proprio in quel momento il popolo acclama Simon
Boccanegra nuovo doge.
Tra il Prologo e il primo atto trascorrono venticinque anni e accadono molti
fatti: il doge Simone esilia i capi degli aristocratici e Fiesco, per
sfuggirgli, vive in esilio sotto il nome di Andrea Grimaldi. Anni prima, la
famiglia Grimaldi aveva trovato una bambina nel convento in cui era appena
morta Amelia, loro figlia. L’avevano adottata dandole il nome della figlia
morta; ma questa orfana, all’insaputa di tutti, altri non è che la vera figlia
di Maria e Simone. Trascorsi venticinque anni, Amelia ama riamata un giovane
patrizio, Gabriele Adorno, l’unico in realtà a sapere che Jacopo Fiesco e
Andrea Grimaldi sono la stessa persona. Gabriele e Jacopo congiurano contro il
doge plebeo.
ATTO I
Quadro I
(Giardino dei Grimaldi, fuori Genova)
Amelia
attende Gabriele in riva al mare, immersa nei confusi ricordi della sua
fanciullezza e quando il giovane la raggiunge lo supplica di non partecipare
alla cospirazione contro Simone. Pietro annuncia l’arrivo del doge e Amelia,
temendo che egli venga a chiederla in sposa per il suo favorito, Paolo Albiani,
supplica Gabriele di prevenirlo affrettando le nozze. Rimasto solo con
Gabriele, Andrea Grimaldi (ossia Jacopo Fiesco) gli rivela che Amelia è in
realtà un’orfanella a cui lui e i Grimaldi hanno dato il nome della vera figlia
dei Grimaldi e lo benedice. Squilli di trombe annunciano l’entrata del doge,
che porge ad Amelia un foglio: è la concessione della grazia ai Grimaldi. La
fanciulla, commossa, gli apre il suo cuore confessandogli di amare un giovane
aristocratico e di essere insidiata dal perfido Paolo, che aspira alle sue
ricchezze. Infine gli rivela di essere orfana. Simone, sentendo la parola
orfana, la incalza con le sue domande e confronta un suo medaglione con quello
che la fanciulla porta al collo: entrambi recano l’immagine di Maria;
agnizione, padre e figlia si abbracciano felici. Al ritorno di Paolo, Simone
gli ordina di rinunciare ad Amelia e il perfido uomo, per vendicarsi, organizza
per la notte successiva il rapimento di Amelia.
Quadro II
(Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati)
Il
Senato è riunito e il doge chiede il parere dei suoi consiglieri: egli desidera
la pace con Venezia, ma Paolo e i suoi chiedono la guerra. Dalla piazza
giungono i clamori di un tumulto e, affacciandosi al balcone, Simone scorge
Gabriele Adorno inseguito dai plebei. Pietro, temendo che il rapimento di
Amelia sia stato scoperto, incita Paolo a fuggire, ma il doge lo precede
ordinando che tutte le porte siano chiuse: chiunque fuggirà sarà dichiarato
traditore. Poi, incurante delle grida della folla contro di lui, fa entrare il
popolo. La folla irrompe trascinando Fiesco e Gabriele, il quale confessa di
aver ucciso il plebeo Lorenzino che aveva rapito Amelia per ordine di un «uom
possente». Supponendo che costui sia Simone, si slancia contro di lui Simone
per colpirlo. Sopraggiunge Amelia, si frappone supplicando il padre di salvare
Adorno e raccontando di essere stata rapita da tre sgherri, di essere svenuta e
di essersi ritrovata nella casa di Lorenzino. Poi, fissando Paolo, dice di
poter riconoscere il vile mandante del rapimento. Scoppia un tumulto, patrizi e
plebei si accusano a vicenda, Simone rivolge all’assemblea e al popolo un
accorato discorso, invocando pace. Gabriele gli consegna la spada ma il doge la
rifiuta e lo invita a rimanere agli arresti a palazzo finché l’intrigo non sia
svelato. Si rivolge quindi a Paolo, di cui ha intuito la colpevolezza, e lo
invita a maledire pubblicamente il traditore infame che si nasconde nella sala.
Paolo, inorridito, è in tal modo costretto a maledire sé stesso.
ATTO II
Nella
stanza del doge, nel Palazzo ducale di Genova, Paolo chiede a Pietro di
condurre da lui i due prigionieri, Gabriele e Fiesco, e versa una fiala di
veleno nella tazza di Simone. Non contento, chiede a Fiesco, l’organizzatore
confesso della rivolta, di assassinare il doge nel sonno e, davanti al suo
sdegnato rifiuto, lo fa riportare in cella e insinua in Gabriele il sospetto
che Amelia si trovi in balia delle turpi attenzioni di Simone. Quando giunge
Amelia, il giovane l’accusa di tradimento con il doge, di cui uno squillo di
tromba annuncia l’arrivo. Gabriele si nasconde, Amelia in lacrime confessa al
padre di amare l’Adorno e lo supplica di salvarlo. Simone, combattuto fra i
doveri della sua carica e il sentimento paterno, la congeda. Beve quindi un
sorso dalla tazza, notando che l’acqua ha un sapore amaro, e si assopisce.
Gabriele esce dal suo nascondiglio e si slancia contro di lui per colpirlo, ma
ancora una volta Amelia glielo impedisce. È il momento della rivelazione: il
doge si risveglia, ha un violento scontro verbale con Gabriele, che l’accusa di
avergli ucciso il padre, e infine gli svela che Amelia è sua figlia. Il giovane
implora Amelia di perdonarlo e offre al doge la sua vita. Di fuori giungono
rumori di tumulti e voci concitate: i cospiratori stanno assalendo il Palazzo.
In segno di riconciliazione il doge incarica Gabriele di comunicare loro le sue
proposte di pace e gli concede la mano di Amelia.
ATTO III
Siamo
all’interno del Palazzo ducale. La rivolta è fallita, il doge ha concesso la
libertà ai capi ribelli, solo Paolo è stato condannato a morte. Mentre si reca
al patibolo, egli rivela a Fiesco di aver fatto bere a Simone un veleno che lo
sta lentamente uccidendo e ascolta con orrore le voci che inneggiano alle
future nozze di Amelia e Gabriele.
Giunge il Boccanegra, che sta cercando refrigerio al malessere che già lo
pervade respirando l’aria del mare. All’improvviso gli si avvicina Fiesco che
gli annuncia che la sua morte è vicina. Da quella voce inesorabile, dopo averlo
osservato bene in volto, Simone riconosce con stupore l’antico nemico, ch’egli
credeva morto, e con un gesto magnanimo decide di rivelargli che Amelia è sua
nipote. La commozione invade l’anima del vecchio patrizio, che troppo tardi
comprende l’inutilità del suo odio. Un abbraccio pone fine alla lunga guerra.
Quando il corteo degli sposi torna dalla chiesa, Simone invita la figlia a
riconoscere in Fiesco il nonno materno, benedice la giovane coppia e muore dopo
aver proclamato Gabriele nuovo doge di Genova.
Fonti:
giuseppeverdi200.gov.it
Dizionario
dell’opera 2002 a cura di Piero Gelli, Baldini&Castoldi, Milano 2001
Adriana Benignetti