La "MozartZacharias" in Auditorium a Milano
Christian Zacharias (Foto: cliburn.org) |
Quando ero adolescente pensare ai Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart significava, per me, pensare immediatamente a lui: Christian Zacharias. Passavo ore e ore ad ascoltare i suoi dischi – retaggio di una collezione ben fornita di mia madre –, ma questo cognome, la cui origine, all’epoca, faticavo a identificare, non corrispondeva nella mia testa a un pianista, a una persona reale: era, piuttosto, un’entità astratta, la MozartZacharias, come a volte la chiamavo. Non esistevano, a quei tempi, Facebook e YouTube, che tutto rendono velocemente vicino e palpabile e, quindi, Christian Zacharias non aveva volto, era solamente un suono. E che suono!
Rimanevo estasiata nell’ascoltare quei Concerti di Mozart che, sotto le sue mani, prendevano una forma particolare: un suono cristallino, una musicalità fuori dall’ordinario, quei passaggi veloci – che sanno essere così insidiosi nelle composizioni del genio salisburghese – eseguiti alla perfezione, una tavolozza di colori che sembrava infinita, e tutta quella gamma di sentimenti – dalla gioia, all’ironia, alla malinconia, alla grazia, alla tristezza, alla teatralità – magnificamente espressi.
Molti miei colleghi pianisti del Conservatorio, a quei tempi adolescenti come me, dicevano con aria un po’ saccente: “Mozart è facile: si legge a prima vista. Liszt … lui sì che è difficile”. Come se la difficoltà di un pezzo o di un compositore in toto fosse misurabile in quantità di note scritte e livello di tecnica richiesto. Non capivo quell’affermazione anche perché, ogni volta che suonavo una sonata di Mozart, io ero presa dal terrore: di “fare” troppo o troppo poco, di non riuscire a trovare il giusto equilibrio che in quella scrittura, apparentemente facile, mi sembrava difficilissimo da raggiungere.
Quando guardavo Incompreso - Vita col figlio, un film che ha segnato profondamente la mia infanzia e la mia adolescenza, alla visione della sequenza, drammatica, accompagnata dal bellissimo Adagio in fa diesis minore del Concerto in La magg. KV 488, piangevo a dirotto e non capivo se il pianto fosse provocato dalla scena o dalla musica; forse, semplicemente, da entrambe le cose che erano in perfetta e totale sintonia. Proprio come in perfetta e totale sintonia avvertivo la MozartZacharias.
Sono passati tantissimi anni da allora e, finalmente, quell’entità astratta è divenuta persona reale: non più solo suono, ma anche mani, corpo, volto. Questa settimana Christian Zacharias, al pianoforte e alla direzione d’orchestra, ha eseguito, in Auditorium a Milano, la Sinfonia n. 3 di Bruckner e il Concerto in Si b magg. KV 595 di Mozart. Un critico americano, dopo un concerto del pianista al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles, aveva scritto: «A guardarlo suonare sembra di spiare un pittore che stende i colori sulla tela o uno scultore che modella la creta. È come se per lui la musica fosse una materia solida da sagomare nell’aria: le sue mani, il suo corpo, il suo volto, tutto tende a dar forma alla frase musicale. Il suo è un suono liquido e aereo al tempo stesso».
Non conosco, purtroppo, il nome di questo critico; so, però, che nessuna frase avrebbe potuto esprimere meglio quello che ho provato ascoltando dal vivo questo magnifico musicista. Una magia, creduta ormai irrimediabilmente persa, ritrovata.
Adriana Benignetti