«Purtroppo i nostri
governanti non capiscono l’importanza della cultura nello sviluppo della società
moderna e in molti, troppi Paesi tagliano i fondi per attività come la musica e
il teatro. Non si rendono conto che in questo modo stanno impoverendo le anime
delle persone, rendendole insensibili al bello e ai valori universalmente
riconosciuti. Mi auguro si possa invertire la rotta»
Davinia Rodríguez in Simon Boccanegra al Gran Teatre del Liceu (©A.Bofill) |
Originaria
di Gran Canaria ma italiana d’adozione, un curriculum denso che si arricchisce
sempre di più, una passione e una curiosità inesauribili per il canto e per le
possibilità della voce, uno studio costante e approfondito: sono questi i
principali ingredienti del successo di Davinia Rodríguez. Un percorso
affascinante, il suo, segnato da un prima e da un dopo: in mezzo, un incontro
che la ha cambiato radicalmente la vita e che le ha permesso di trovare la sua “strada”.
Sempre
più richiesta sui palcoscenici di tutto il mondo, la Rodríguez sarà, tra pochi
giorni, per la prima volta, al Teatro Regio di Torino (4 recite, tra l’11 e il
22 gennaio): per l’occasione, ho avuto il piacere di parlare con lei di quest’importante
appuntamento, dei prossimi debutti e del suo percorso artistico.
Il 2017 si aprirà per te
con un importante debutto: sarai, infatti, per la prima volta, sul palcoscenico
del Teatro Regio di Torino per interpretare Nedda ne I Pagliacci di Leoncavallo. Come ti stai preparando per
quest’appuntamento? Nedda è un ruolo non eccessivamente lungo ma molto intenso. Dal momento in cui ho
saputo che lo avrei debuttato mi sono messa a prepararlo con estrema dedizione per
potermi addentrare in tutti i suoi aspetti: il lato emozionale del personaggio
richiede moltissima energia e intensità e va preparato con molta cura. Poter
salire sul palco di questo meraviglioso teatro, con un ruolo così affascinante,
mi entusiasma. Sto vivendo un momento molto speciale nella mia carriera e penso
che avere questa nuova opportunità in un contesto artistico così importante mi arricchirà
moltissimo. Non vedo l'ora!
Il dramma di Leoncavallo
narra di una vicenda realmente accaduta (un uxoricidio), della quale il
compositore fu testimone, e che, a più di un secolo di distanza, è di estrema
attualità. Cosa ti affascina del personaggio di Nedda? Tutto!
Se dovessi ricercare un aspetto particolare potrei parlare della sua voglia di libertà,
della sua forza nell’affrontare le difficoltà della vita. Nedda è una ragazza
sola, che affronta le sue sfide quotidiane senza l’aiuto di nessuno. È una
donna costretta a vivere sotto il tendone di un circo non per volontà propria
ma per necessità. È una che rinuncia alla propria vita pur di salvare il suo “pensier
segreto”.
Puoi anticiparci
qualcosa sulla produzione che andrà in scena e che porta la firma di Gabriele
Lavia per la regia e di Nicola Luisotti per la direzione? La
visione di Gabriele Lavia esalta la tristezza della miseria, della povertà di
queste persone: ciò va in netto contrasto con i personaggi della commedia che
per finzione devono essere allegri e far divertire. Il Maestro Luisotti insiste
sul declamato che esalta la forza della parola e dà vita a questa tragedia.
Davinia Rodríguez in Machbet al Theater an der Wien (© Herwing Prammer) |
Con Plácido Domingo (© Herwing Prammer) |
Recentemente hai
ottenuto un grandissimo successo a Vienna dove hai debuttato Lady Macbeth. Hai
avuto la fortuna di preparare questo ruolo con Sylvia Sass, che è stata
un’acclamatissima Lady Macbeth. Cosa ti ha trasmesso la Sass? Come ti sei
preparata al ruolo? Solo
pochi anni fa mai avrei pensato di poter affrontare un ruolo come la Lady: è grazie
all’insistenza di Placido Domingo che ho deciso di farlo. Ho impiegato un paio
d’anni prima di decidermi di affrontarlo. All’inizio pensavo fosse di molto
oltre le possibilità della mia voce: poi, però, poco a poco, anche grazie all’aiuto
di Sylvia, mi sono avvicinata al ruolo e ho visto che mi stava bene. Ho avuto
un grandissimo successo, a dire il vero anche un po’ inaspettato nelle
dimensioni: condividere la scena con un mostro sacro come Placido non è per
nulla facile. È un esempio ispiratore e ha una grinta inesauribile che dà una
grande carica.
Il tuo percorso musicale
è iniziato prestissimo: fin da bambina, infatti, ti sei avvicinata al canto ma
per lungo tempo ti sei dedicata al folklore canario e ti sei esibita in Spagna
con le figure di riferimento del genere. Cosa ti è rimasto di quest’esperienza? In
qualche maniera credo che tutte le esperienze musicali dalle quali sono
transitata hanno apportato qualcosa al mio essere “artista”. Il folklore ha in
qualche modo sviluppato una certa duttilità: il folklore canario, poi, è pieno
di fioriture e la coloratura è un aspetto importante. Il canto è molto
passionale e l’arte della variazione è una particolarità vicina all’estemporaneità
della variazione del belcanto.
Un primo incontro
fondamentale è stato quello con Teresa Berganza, un’artista eclettica: cosa ti
ha trasmesso? Ho
avuto la fortuna di poter vivere da un punto di vista privilegiato tutto ciò
che la circonda: una grandissima artista e anche una grande donna! Ogni volta
che lavoravamo un pezzo, lei si trasformava dandomi tutto. All’inizio pensi che
non riuscirai mai a comprendere come fare, ma col passare del tempo ti rendi
conto che dentro di te è rimasto qualcosa della sua grande arte. A distanza di
tanti anni comprendo consigli che lei mi dava e che all’epoca non comprendevo: oggi
mi sono molto chiari.
Un altro incontro,
fortuito, è stato quello con il direttore d’orchestra Riccardo Frizza, divenuto
poi tuo marito: è lui che ti ha “convinta” a dedicarti alla lirica e per lui
hai ricominciato una “seconda vita”. Assolutamente
sì. Il destino ha voluto che noi ci conoscessimo nel 2005. Da allora é
diventato la mia guida, il mio sopporto e soprattutto il mio esempio. Con lui
ho imparato ad amare la lirica: mi ha insegnato a essere costante, persistente,
a non perdere mai la curiosità e ad approfondire il dettaglio della scrittura
musicale.
Per lui hai lasciato la
tua terra, hai rinunciato a un contratto con una major discografica e ti sei
stabilita in Italia: hai mai avuto qualche rimpianto per queste scelte? No,
perché ho trovato la mia strada e la mia vita. Sono contenta di essere una
cantante lirica, una moglie, una madre e non riuscirei a vedermi riflessa nel
mondo del pop.
4 anni fa avete avuto
una figlia: 10 giorni dopo il parto eri già sul palco. Come hai fatto? Sono
una donna abbastanza forte anche se molto sensibile. Dal primo momento della
mia gravidanza ho voluto godermi ogni dettaglio e a volte mi autoconvincevo di
stare bene anche quando stavo malissimo. Ho studiato e lavorato tantissimo
durante quei meravigliosi 9 mesi ed ero sicura che dopo il parto sarei stata
pronta a breve per continuare con i miei impegni. Ho studiato fino al giorno
prima del parto: cantavo con alcuni dolori preparto e sono arrivata molto
tonica e forte al travaglio. Questo mi ha permesso di poter partorire in un
brevissimo tempo e di essere già pronta, dopo dieci giorni, per presentarmi
alla Suntory Hall di Tokyo con un recital.
Come riesci a conciliare
tutto? Penso
che la testa sia molto importante: il metodo organizzativo è basilare. Soprattutto,
evito di lamentarmi e cerco di godermi ogni cosa che faccio: questo mi aiuta ad
affrontare tutto più serenamente. La vita dell’artista è una vita fatta di
molti sacrifici ma con questa filosofia la si affronta meglio.
Dopo il parto la tua
voce è cambiata? Tantissimo!
Penso che più che di un vero e proprio cambiamento forse sia meglio parlare di
un assestamento e di una maturazione. Durante l’intera gravidanza mi sono resa
conto che un po’ alla volta trovavo più libertà di emissione: questo mi ha
aiutato ad approfondire la mia coscienza vocale e la mia tecnica, come in un
puzzle, è andata sistemandosi poco a poco.
L’anno scorso hai subito
una grave perdita, quella dei tuoi genitori: la musica ti ha aiutato a superare
il dolore? In
quel momento ho capito come il canto sia fondamentale per me: è stata ed è
tuttora la più importante terapia. È quasi inspiegabile come, attraverso la
voce, una persona possa liberarsi di tanto dolore e di come il palcoscenico possa
riempire il senso di vuoto che ti lascia la perdita di persone che ami. È,
ovviamente, solo un palliativo, ma per alcuni momenti ti fa sentire meglio.
Altri due incontri
importanti sono stati quelli con Raina Kabaivanska e Martina Arroyo. Entrambe
hanno significato molto nel mio percorso formativo. Raina mi ha aiutato a
capire che non ero un soprano leggero e mi ha spronata a cambiare repertorio. Grazie
a Martina, con cui ho lavorato prima di conoscere Raina, ho preso coscienza di
alcuni aspetti tecnici della respirazione e dell’emissione. Mi ha aiutato a
razionalizzare cose che facevo istintivamente ma che non avevo ancora bene
sotto controllo.
Dopo tanti anni di canto
dedicati alla musica folkloristica e al pop come hai reimpostato la tua voce? Ricordo
che durante le mie prime lezioni al Conservatorio (all’età di sedici anni) la
lirica per me consisteva nell’imitare i suoni del mio professore e/o delle mie
compagne di classe. Era un mondo totalmente ignoto a me. Non é stato per nulla
facile capire il meccanismo vocale in profondità giacché la mia natura era
abituata a fare tutt’altro. È stata una ricerca molto difficile, ancora oggi
non terminata. Passare dalla voce naturale alla voce impostata mi dava problemi
di controllo e ho dovuto scegliere: non potevo fare entrambe le cose.
Continui a lavorare
molto sulla tua voce e riesci ad affrontare sia ruoli da lirico che ruoli da
spinto: in quale repertorio ti senti più a tuo agio? La
mia voce ha bisogno di sfogo e io mi sento più libera nel repertorio spinto ma
mi piace tanto anche poter cantare delle belle linee delle parti liriche. Sto
cercando di gestire la mia carriera in modo da poter alternare ruoli spinti a
ruoli più lirici: questo aiuta a mantenere la mia voce elastica e a preservarla
dall’usura.
Il tuo debutto ufficiale
nella lirica è avvenuto nel 2006 al Rossini Opera Festival di Pesaro: cosa
ricordi di quell’esperienza? Ricordo
tutto con tanto affetto. Aver potuto lavorare intensamente col grande Maestro
Alberto Zedda è stata un’esperienza indimenticabile. L’energia e l’amore di
Alberto Zedda per Rossini sono contagiosi! Ricordo che mi chiese di fare due
ruoli della stessa opera (Folville e Madama Cortese): è stato molto laborioso
ma ho avuto tante soddisfazioni! Era anche la prima volta che cantavo in
Italia: un sogno che si avverava.
Hai incontrato i più importanti
direttori d’orchestra della scena internazionale: c’è stata qualche
collaborazione che ti ha lasciato il segno? Sì:
non potrò mai dimenticare il mio debutto nella produzione di “I due Foscari” a
Vienna. Li ho incontrato per prima volta il Maestro James Conlon: non ho parole
per spiegare quante affinità ci fossero, fin dal primo giorno di prove. Da lui ho ricevuto molti consigli d’oro: James è una persona incantevole con tantissima esperienza
alle spalle e adora aiutare i giovani. Da allora sono sempre desiderosa di
poter fare musica insieme a lui.
Quale ruolo che non hai ancora
debuttato ti piacerebbe interpretare? Tosca,
uno dei miei ruoli più desiderati. Ci arriverò poco a poco così come ho fatto
con tutti i miei ruoli fino a oggi. Forse, da un certo punto di vista, questa
Nedda può essere l’anticamera di Floria Tosca.
Nel 2017 ti aspettano
altri importanti debutti. Sto
preparando i nuovi ruoli da tanto tempo: mi piace maturarli poco a poco. Credo che
studiarli, lasciarli riposare e riprenderli sia la migliore maniera per
approfondire e maturare il personaggio. I ruoli che debutterò dopo Nedda
saranno Donna Anna e Donna Elvira in due produzioni diverse: poi, sarò Maria
Stuarda. Quest’ultimo è un ruolo complesso che mette a dura prova: il Belcanto, Donizetti in particolare, è molto difficile. Maria Stuarda è il primo passo
per completare il ciclo Tudor (che voglio assolutamente completare!).
Cosa ami fare nel tempo
libero? Stare
con la famiglia e con i miei amici. Adoro cucinare e mi piace molto fare
shopping, vedere dei film insieme al mio amore e godermi la vita più che posso.
Quante tempo dedichi
allo studio? Io
convivo con lo studio. Cantare é la mia più grande passione e quindi, anche se
non canto, il mio subconscio e i miei pensieri vanno sempre li. Per poter
interpretare bene i personaggi devo impregnarmi di loro: mi piace indagare in
profondità. La voce deve essere sempre allenata: ci sono dei giorni in cui
canto molto e altri nei quali, invece, provo soltanto piccoli frammenti per
assestarli.
Cosa ami della tua
professione? Adoro
la possibilità di entrare nell’anima dei personaggi e di esprimerli attraverso
il canto con il proprio corpo. Mi piace la magia del palco. Mi piace provare e lavorare
insieme a grandi artisti creando momenti magici. Mi sento una privilegiata.
Quali sono, invece, le
principali difficoltà?
Il prezzo da pagare a tanto privilegio è la lontananza costante da casa e dai
tuoi affetti. Dobbiamo rinunciare in una
certa maniera ai grossi valori della vita come la famiglia, il tuo focolare,
gli amici..
Che consigli daresti a
chi decide di intraprendere questa carriera? Di
avere tanta forza ed essere disposti al sacrificio. Seminare tanto tanto per poter
raccogliere dopo. Avere pazienza e non perdere mai la voglia e la curiosità.
Adriana Benignetti