mercoledì 4 gennaio 2017

A colloquio con… Davinia Rodríguez

«Purtroppo i nostri governanti non capiscono l’importanza della cultura nello sviluppo della società moderna e in molti, troppi Paesi tagliano i fondi per attività come la musica e il teatro. Non si rendono conto che in questo modo stanno impoverendo le anime delle persone, rendendole insensibili al bello e ai valori universalmente riconosciuti. Mi auguro si possa invertire la rotta»

Davinia Rodríguez in Simon Boccanegra
al Gran Teatre del Liceu (©A.Bofill)

Originaria di Gran Canaria ma italiana d’adozione, un curriculum denso che si arricchisce sempre di più, una passione e una curiosità inesauribili per il canto e per le possibilità della voce, uno studio costante e approfondito: sono questi i principali ingredienti del successo di Davinia Rodríguez. Un percorso affascinante, il suo, segnato da un prima e da un dopo: in mezzo, un incontro che la ha cambiato radicalmente la vita e che le ha permesso di trovare la sua “strada”.


Sempre più richiesta sui palcoscenici di tutto il mondo, la Rodríguez sarà, tra pochi giorni, per la prima volta, al Teatro Regio di Torino (4 recite, tra l’11 e il 22 gennaio): per l’occasione, ho avuto il piacere di parlare con lei di quest’importante appuntamento, dei prossimi debutti e del suo percorso artistico.

Il 2017 si aprirà per te con un importante debutto: sarai, infatti, per la prima volta, sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino per interpretare Nedda ne I Pagliacci di Leoncavallo. Come ti stai preparando per quest’appuntamento? Nedda è un ruolo non eccessivamente lungo ma molto intenso. Dal momento in cui ho saputo che lo avrei debuttato mi sono messa a prepararlo con estrema dedizione per potermi addentrare in tutti i suoi aspetti: il lato emozionale del personaggio richiede moltissima energia e intensità e va preparato con molta cura. Poter salire sul palco di questo meraviglioso teatro, con un ruolo così affascinante, mi entusiasma. Sto vivendo un momento molto speciale nella mia carriera e penso che avere questa nuova opportunità in un contesto artistico così importante mi arricchirà moltissimo. Non vedo l'ora!

Il dramma di Leoncavallo narra di una vicenda realmente accaduta (un uxoricidio), della quale il compositore fu testimone, e che, a più di un secolo di distanza, è di estrema attualità. Cosa ti affascina del personaggio di Nedda? Tutto! Se dovessi ricercare un aspetto particolare potrei parlare della sua voglia di libertà, della sua forza nell’affrontare le difficoltà della vita. Nedda è una ragazza sola, che affronta le sue sfide quotidiane senza l’aiuto di nessuno. È una donna costretta a vivere sotto il tendone di un circo non per volontà propria ma per necessità. È una che rinuncia alla propria vita pur di salvare il suo “pensier segreto”.

Puoi anticiparci qualcosa sulla produzione che andrà in scena e che porta la firma di Gabriele Lavia per la regia e di Nicola Luisotti per la direzione? La visione di Gabriele Lavia esalta la tristezza della miseria, della povertà di queste persone: ciò va in netto contrasto con i personaggi della commedia che per finzione devono essere allegri e far divertire. Il Maestro Luisotti insiste sul declamato che esalta la forza della parola e dà vita a questa tragedia. 

Davinia Rodríguez in Machbet al Theater an der Wien
(© Herwing Prammer)
Con Plácido Domingo
(© Herwing Prammer)

Recentemente hai ottenuto un grandissimo successo a Vienna dove hai debuttato Lady Macbeth. Hai avuto la fortuna di preparare questo ruolo con Sylvia Sass, che è stata un’acclamatissima Lady Macbeth. Cosa ti ha trasmesso la Sass? Come ti sei preparata al ruolo? Solo pochi anni fa mai avrei pensato di poter affrontare un ruolo come la Lady: è grazie all’insistenza di Placido Domingo che ho deciso di farlo. Ho impiegato un paio d’anni prima di decidermi di affrontarlo. All’inizio pensavo fosse di molto oltre le possibilità della mia voce: poi, però, poco a poco, anche grazie all’aiuto di Sylvia, mi sono avvicinata al ruolo e ho visto che mi stava bene. Ho avuto un grandissimo successo, a dire il vero anche un po’ inaspettato nelle dimensioni: condividere la scena con un mostro sacro come Placido non è per nulla facile. È un esempio ispiratore e ha una grinta inesauribile che dà una grande carica.


Il tuo percorso musicale è iniziato prestissimo: fin da bambina, infatti, ti sei avvicinata al canto ma per lungo tempo ti sei dedicata al folklore canario e ti sei esibita in Spagna con le figure di riferimento del genere. Cosa ti è rimasto di quest’esperienza? In qualche maniera credo che tutte le esperienze musicali dalle quali sono transitata hanno apportato qualcosa al mio essere “artista”. Il folklore ha in qualche modo sviluppato una certa duttilità: il folklore canario, poi, è pieno di fioriture e la coloratura è un aspetto importante. Il canto è molto passionale e l’arte della variazione è una particolarità vicina all’estemporaneità della variazione del belcanto.

Un primo incontro fondamentale è stato quello con Teresa Berganza, un’artista eclettica: cosa ti ha trasmesso? Ho avuto la fortuna di poter vivere da un punto di vista privilegiato tutto ciò che la circonda: una grandissima artista e anche una grande donna! Ogni volta che lavoravamo un pezzo, lei si trasformava dandomi tutto. All’inizio pensi che non riuscirai mai a comprendere come fare, ma col passare del tempo ti rendi conto che dentro di te è rimasto qualcosa della sua grande arte. A distanza di tanti anni comprendo consigli che lei mi dava e che all’epoca non comprendevo: oggi mi sono molto chiari.

Un altro incontro, fortuito, è stato quello con il direttore d’orchestra Riccardo Frizza, divenuto poi tuo marito: è lui che ti ha “convinta” a dedicarti alla lirica e per lui hai ricominciato una “seconda vita”. Assolutamente sì. Il destino ha voluto che noi ci conoscessimo nel 2005. Da allora é diventato la mia guida, il mio sopporto e soprattutto il mio esempio. Con lui ho imparato ad amare la lirica: mi ha insegnato a essere costante, persistente, a non perdere mai la curiosità e ad approfondire il dettaglio della scrittura musicale.


Per lui hai lasciato la tua terra, hai rinunciato a un contratto con una major discografica e ti sei stabilita in Italia: hai mai avuto qualche rimpianto per queste scelte? No, perché ho trovato la mia strada e la mia vita. Sono contenta di essere una cantante lirica, una moglie, una madre e non riuscirei a vedermi riflessa nel mondo del pop.

4 anni fa avete avuto una figlia: 10 giorni dopo il parto eri già sul palco. Come hai fatto? Sono una donna abbastanza forte anche se molto sensibile. Dal primo momento della mia gravidanza ho voluto godermi ogni dettaglio e a volte mi autoconvincevo di stare bene anche quando stavo malissimo. Ho studiato e lavorato tantissimo durante quei meravigliosi 9 mesi ed ero sicura che dopo il parto sarei stata pronta a breve per continuare con i miei impegni. Ho studiato fino al giorno prima del parto: cantavo con alcuni dolori preparto e sono arrivata molto tonica e forte al travaglio. Questo mi ha permesso di poter partorire in un brevissimo tempo e di essere già pronta, dopo dieci giorni, per presentarmi alla Suntory Hall di Tokyo con un recital.

Come riesci a conciliare tutto? Penso che la testa sia molto importante: il metodo organizzativo è basilare. Soprattutto, evito di lamentarmi e cerco di godermi ogni cosa che faccio: questo mi aiuta ad affrontare tutto più serenamente. La vita dell’artista è una vita fatta di molti sacrifici ma con questa filosofia la si affronta meglio.

Dopo il parto la tua voce è cambiata? Tantissimo! Penso che più che di un vero e proprio cambiamento forse sia meglio parlare di un assestamento e di una maturazione. Durante l’intera gravidanza mi sono resa conto che un po’ alla volta trovavo più libertà di emissione: questo mi ha aiutato ad approfondire la mia coscienza vocale e la mia tecnica, come in un puzzle, è andata sistemandosi poco a poco.

L’anno scorso hai subito una grave perdita, quella dei tuoi genitori: la musica ti ha aiutato a superare il dolore? In quel momento ho capito come il canto sia fondamentale per me: è stata ed è tuttora la più importante terapia. È quasi inspiegabile come, attraverso la voce, una persona possa liberarsi di tanto dolore e di come il palcoscenico possa riempire il senso di vuoto che ti lascia la perdita di persone che ami. È, ovviamente, solo un palliativo, ma per alcuni momenti ti fa sentire meglio.

Altri due incontri importanti sono stati quelli con Raina Kabaivanska e Martina Arroyo. Entrambe hanno significato molto nel mio percorso formativo. Raina mi ha aiutato a capire che non ero un soprano leggero e mi ha spronata a cambiare repertorio. Grazie a Martina, con cui ho lavorato prima di conoscere Raina, ho preso coscienza di alcuni aspetti tecnici della respirazione e dell’emissione. Mi ha aiutato a razionalizzare cose che facevo istintivamente ma che non avevo ancora bene sotto controllo.

Dopo tanti anni di canto dedicati alla musica folkloristica e al pop come hai reimpostato la tua voce? Ricordo che durante le mie prime lezioni al Conservatorio (all’età di sedici anni) la lirica per me consisteva nell’imitare i suoni del mio professore e/o delle mie compagne di classe. Era un mondo totalmente ignoto a me. Non é stato per nulla facile capire il meccanismo vocale in profondità giacché la mia natura era abituata a fare tutt’altro. È stata una ricerca molto difficile, ancora oggi non terminata. Passare dalla voce naturale alla voce impostata mi dava problemi di controllo e ho dovuto scegliere: non potevo fare entrambe le cose.

Continui a lavorare molto sulla tua voce e riesci ad affrontare sia ruoli da lirico che ruoli da spinto: in quale repertorio ti senti più a tuo agio? La mia voce ha bisogno di sfogo e io mi sento più libera nel repertorio spinto ma mi piace tanto anche poter cantare delle belle linee delle parti liriche. Sto cercando di gestire la mia carriera in modo da poter alternare ruoli spinti a ruoli più lirici: questo aiuta a mantenere la mia voce elastica e a preservarla dall’usura.

Il tuo debutto ufficiale nella lirica è avvenuto nel 2006 al Rossini Opera Festival di Pesaro: cosa ricordi di quell’esperienza? Ricordo tutto con tanto affetto. Aver potuto lavorare intensamente col grande Maestro Alberto Zedda è stata un’esperienza indimenticabile. L’energia e l’amore di Alberto Zedda per Rossini sono contagiosi! Ricordo che mi chiese di fare due ruoli della stessa opera (Folville e Madama Cortese): è stato molto laborioso ma ho avuto tante soddisfazioni! Era anche la prima volta che cantavo in Italia: un sogno che si avverava.


Hai incontrato i più importanti direttori d’orchestra della scena internazionale: c’è stata qualche collaborazione che ti ha lasciato il segno? Sì: non potrò mai dimenticare il mio debutto nella produzione di “I due Foscari” a Vienna. Li ho incontrato per prima volta il Maestro James Conlon: non ho parole per spiegare quante affinità ci fossero, fin dal primo giorno di prove. Da lui ho ricevuto molti consigli d’oro: James è una persona incantevole con tantissima esperienza alle spalle e adora aiutare i giovani. Da allora sono sempre desiderosa di poter fare musica insieme a lui.


Quale ruolo che non hai ancora debuttato ti piacerebbe interpretare? Tosca, uno dei miei ruoli più desiderati. Ci arriverò poco a poco così come ho fatto con tutti i miei ruoli fino a oggi. Forse, da un certo punto di vista, questa Nedda può essere l’anticamera di Floria Tosca.

Nel 2017 ti aspettano altri importanti debutti. Sto preparando i nuovi ruoli da tanto tempo: mi piace maturarli poco a poco. Credo che studiarli, lasciarli riposare e riprenderli sia la migliore maniera per approfondire e maturare il personaggio. I ruoli che debutterò dopo Nedda saranno Donna Anna e Donna Elvira in due produzioni diverse: poi, sarò Maria Stuarda. Quest’ultimo è un ruolo complesso che mette a dura prova: il Belcanto, Donizetti in particolare, è molto difficile. Maria Stuarda è il primo passo per completare il ciclo Tudor (che voglio assolutamente completare!).

Cosa ami fare nel tempo libero? Stare con la famiglia e con i miei amici. Adoro cucinare e mi piace molto fare shopping, vedere dei film insieme al mio amore e godermi la vita più che posso.

Quante tempo dedichi allo studio? Io convivo con lo studio. Cantare é la mia più grande passione e quindi, anche se non canto, il mio subconscio e i miei pensieri vanno sempre li. Per poter interpretare bene i personaggi devo impregnarmi di loro: mi piace indagare in profondità. La voce deve essere sempre allenata: ci sono dei giorni in cui canto molto e altri nei quali, invece, provo soltanto piccoli frammenti per assestarli.

Cosa ami della tua professione? Adoro la possibilità di entrare nell’anima dei personaggi e di esprimerli attraverso il canto con il proprio corpo. Mi piace la magia del palco. Mi piace provare e lavorare insieme a grandi artisti creando momenti magici. Mi sento  una privilegiata.

Quali sono, invece, le principali difficoltà? Il prezzo da pagare a tanto privilegio è la lontananza costante da casa e dai tuoi affetti.  Dobbiamo rinunciare in una certa maniera ai grossi valori della vita come la famiglia, il tuo focolare, gli amici..

Che consigli daresti a chi decide di intraprendere questa carriera? Di avere tanta forza ed essere disposti al sacrificio. Seminare tanto tanto per poter raccogliere dopo. Avere pazienza e non perdere mai la voglia e la curiosità.


Adriana Benignetti