Lunedì 29 febbraio alle ore 21.00, i due musicisti saranno protagonisti
di un concerto per la Stagione Concertistica di “Serate Musicali” presso il
Conservatorio “G. Verdi”. In programma musiche di Debussy, Szymanoski e R. Strauss
(Foto di Marco Borggreve) |
(Foto di Marco Borggreve) |
Saranno il violinista Leonidas
Kavakos e il pianista Enrico Pace i protagonisti del prossimo
appuntamento della Stagione Concertistica 2015/2016 di “Serate Musicali”, in
programma lunedì 29 febbraio alle ore 21.00, presso il Conservatorio “G.
Verdi” di Milano.
Kavakos e Pace eseguiranno musiche di Debussy, Szymanowki e R. Strauss.
Lunedì 29
febbraio ore 21.00
Sala Verdi del
Conservatorio “G. Verdi” di Milano
Via Conservatorio 12,
Milano
Violinista Leonidas
Kavakos
Pianista Enrico
Pace
Claude Debussy (1862 –
1918)
Sonata n. 3 in sol
minore
Allegro vivo; Intermède; Fantasque et léger; Finale – très animé
Karol
Maciej Szymanowski (1882 – 1937)
Mythes, op. 30
1. La fontana d’Aretusa; 2. Narciso; 3. Driadi e Pan
Richard Strauss (1864
– 1949)
«Der Rosenkavalier» op.
59: Valzer (arr. Vasa Příhoda)
Sonata per violino e
pianoforte in mi bemolle maggiore TrV. 151 op. 18
Allegro, ma non troppo; Improvisation, Andante cantabile;
Finale Andante – Allegro
Biglietti: Intero €
20,00 - Ridotto € 15,00
Presentando
questo volantino
potrai avere un biglietto a prezzo scontato.
Il programma (testo
tratto dal libretto di sala)
CLAUDE
DEBUSSY - Sonata n. 3 in sol minore
La
Sonata per violino e pianoforte fu composta tra l'estate del 1915 e l'inverno
del 1917, quando Debussy era ammalato già di cancro e si sentiva sempre più
isolato, anche per colpa della guerra mondiale che divampava in Europa.
Inizialmente il musicista pensava di scrivere sei Sonate per vari strumenti,
sotto un unico titolo così concepito «Sonates pour divers instruments,
composées par Claude Debussy musicien francais», quasi a sottolineare certe
caratteristiche dell'arte francese, in polemica con la tradizione musicale
tedesca e il postwagnerismo. Lo stesso Debussy, in una lettera indirizzata a
Stravinsky, aveva dichiarato che le sei Sonate erano state progettate «secondo
la nostra antica forma, che suona familiare al nostro orecchio senza avere
nessuna pretesa di essere una tetralogia». A causa del progredire del male, il
musicista, che subì anche un intervento chirurgico nel dicembre del 1915, potè
portare a conclusione soltanto tre delle sei Sonate e precisamente la Sonata
per violoncello e pianoforte, la Sonata per flauto, viola e arpa e la Sonata
per violino e pianoforte, la quale venne eseguita a Parigi il 5 maggio 1917 con
lo stesso Debussy al pianoforte: fu l'ultima commovente apparizione in pubblico
di un artista che ha contribuito ad ampliare e arricchire il linguaggio
musicale nel primo Novecento. La Sonata non ha nulla o quasi della poetica
impressionista e vi si avverte una maggiore plasticità nel disegno melodico e
un più marcato senso chiaroscurale, rispetto alle atmosfere sfumate e
pittoricamente evocative della produzione tipicamente debussyana. Anche se
divisa in tre movimenti, la Sonata non segue schemi classici o romantici, ma
utilizza cellule melodiche fondamentali continuamente riproposte e modificate,
secondo il principio della cosiddetta «variazione totale», descrivente una
nozione circolare del tempo musicale. Infatti nel primo movimento (Allegro
vivo) non viene evidenziato un tema vero e proprio, ma piuttosto una
ininterrotta variazione dell'inciso melodico esposto dapprima dal violino e
contraddistinto da una successione di terze collegate fra di loro. L'inciso
melodico assume le forme più diverse, sia quando è indicato dal pianoforte e
sia quando assume forma melodicamente variata nel violino. Il secondo movimento
(Intermède. Fantasìque et léger) ha un carattere di improvvisazione, segnata da
eleganti arabeschi del violino; nella parte centrale si avverte il contrasto
fra il brillante ritmo pianistico e i piacevoli effetti timbrici del violino.
Non manca un raffinato ésprit intellettualistico, vagamente ironico, di gusto
stravinskiano. Il terzo movimento (Très animé) si svolge in modo rapsodico e
virtuosistico, secondo i canoni del finale della sonata classica: in esso
ritorna il motivo proposto dal violino nel primo tempo, ma con tono più vivace
e scintillante. Lo stesso Debussy definì questo terzo pannello «pieno di vita,
quasi gioioso per un fenomeno di sdoppiamento», come a nascondere la fatica che
gli era costata per portarlo a termine, tra sofferenze angosciose e terribili.
KAROL
SZYMANOWSKI - Mythes, op.30
Il
Trittico Mythes, ispirato dalle leggende dell’antica Grecia, fu scritto nel
marzo (fino al giugno) del 1915 a Zarudzie (presso Kiev). Mette in essere una
tecnica strumentale (per il violino) che può dirsi nuova, appresa dall’amico
violinista Paul Kocanski. Il violino si libra nel registro acuto con utilizzo
di armonici, con “portamenti” (obbligatori e chiaramente annotati) e con
effetti di “strisciando”. Effetti dunque di luminosità sonora, di armonici di
grande complessità e sognanti, che la magia del timbro dello strumento rende
possibile ed esalta. Appaiono anche orizzonti poetici nuovi che, senza perdere
quel neo-romanticismo che contraddistingue la Sonata per violino op. 9, aggiunge
ipotesi e possibilità di dramma e di lirismo, fin qui inediti.
LA
FONTANA DI ARETUSA. È la leggenda che ci narra le metamorfosi dell’Esperide
Aretusa, inseguita dal cacciatore Alfeo, che trova rifugio sull’isola di
Ortigia mutandosi in fonte, mentre il mitico cacciatore si cangia in Fiume.
Questo si getta nel mare ma non si fonde in esso. Raggiunge l’Isola per
fondersi con l’amata Fonte. Quanto a progetto sonoro, Szymanowski non parte dal
gioiello di Ravel escogitato per due mani pianistiche (Jeux d’Eau), ma mostra
un cammino parallelo, all’ingresso del pianoforte. Di qui la fluidità
straordinaria, nuova tra le due mani del pianoforte, procedendo su scala
pentatonica su mi bemolle, mentre la destra suona sulla tonalità di la minore.
Gli intervalli, seconde maggiori e tritoni, prolungano l’illusione della
mancanza di alterazioni. Non vi ha dissonanza (non risolta in senso stretto),
che possa dunque turbare ciò che diviene e ciò che fluisce. La struttura
armonica, nella sua grande complessità, è trattata per dare un’impressione o
illusione dello scorrere d’acque, o di cascata. É un equilibrio (stabile?
instabile?) tra i timbri armonici e un gioco di specchi modali che lambiscono,
ora questa, ora quella tonalità, nel corso del viaggio senza fine. L’intervallo
più importante è allora la terza minore, mentre i due strumenti si scambiano
trilli, tremoli e arpeggi. La magia è quella soprannaturale del flusso senza
tregua, del fluire senza posa, della luce, della trasparenza. Si fondono gli
echi infiniti del pianoforte con le vibrazioni misteriose del violino.
NARCISO.
È il figlio di Cefiso e dell’oceanide Litiope, ch’ebbe il castigo degli Dei per
aver rifiutato Eco. Fu sedotto dalla sua stessa immagine nell’acqua e morì per
non aver potuto far propria quell’immagine di cui si era invaghito. Alla destra
del suo sepolcro era nato un fiore ed esso in eterno porta il suo nome. La
sinistra intreccia tritono e quarta, giusto laddove un accordo di dominante
vive e si prolunga per effetto del pedale. Tensioni tonali sembrano
sprigionarsi da tali opposti, nella direzione di una bi-tonalità. Allora un
nuovo tipo di intraprendenza si mostra, tra la linea melodica (il violino, più
contrappunto a specchio alla sinistra) e l’accompagnamento, fornendo
quest’ultimo alla melodia linfe essenziali. Viene alla mente lo Scriabine dei
Poemi op. 72 e dei Preludi dell’op. 74. Ma, al contrario, in quelle pagine
“testamentarie”, Szymanowski fa divenire senza posa la struttura armonica
perché la melodia modale si appoggi su un polo tonale, qui si maggiore. È
l’immagine fatale di Narciso, che si riflette con chiarezza insospettata su una
serie di accordi in si.
DRIADI
E PAN. Eccoci dunque all’ultimo numero del Trittico. È un episodio
dell’Odissea. Le Driadi percorrono leggiere le foreste incantate. Il mormorio
l’ascoltiamo nei trilli e nelle alterazioni in quarti di tono. Pan invece, ha
con sé l’inseparabile flauto, qui trasformato in violino, secondo una leggenda
sonora di cui Szymanowski è autore e coautore e cui noi, ascoltatori di oggi,
diamo collaborazione. Il clima instaurato è non lontano da quello delle Metopi
per pianoforte solo e che risulta contemporaneo. Un polo tonale sul re,
sostiene la costruzione modale di quest’ultimo squarcio di “Poema”. Qualche
ambiguità minore-maggiore consente strutture parallele già utilizzate nei primi
due “poemi”. Il pianoforte intraprende un cammino di dissonanze, laddove il
violino si identifica negli intervalli di settima maggiore: quelli che
ritroveremo esaltati con la magnificenza dell’orchestra, nel Primo Concerto per
violino op. 36, che segue il Trittico. Artisti leggendari del violino: Menhuin,
Heifetz, Thibaud, Szering, Szigeti, si fecero tentare dal Trittico e vollero
farlo proprio. Szigeti lo “creò” il 12 novembre del 1921 a Budapest. Il grande
Bela Bartok sedeva al pianoforte!
RICHARD
STRAUSS - Der Rosenkavalier op. 59:
Valzer (arr. Vasa Příhoda)
Scoperto
da Toscanini e virtuoso tra i più naturalmente dotati del secolo, il ceco Vasa
Příhoda (1900 - 1960) ricava questa bella trascrizione di Valzer della commedia
“Il cavaliere della Rosa” di Richard Strauss. Di essa esalta umori viennesi e
struggimenti decadentisti, rinunciando al virtuosismo “ad effetto” per puntare
sulle tinte terse dei suoni armonici e su eleganti colpi d’arco a rimbalzo
(accurato e non banale risulta poi l’accompagnamento pianistico).
RICHARD STRAUSS - Sonata in mi bemolle
maggiore op. 18
Strauss
si dedicò alla musica da camera quasi solo negli anni dell'apprendistato
giovanile; la Sonata per violino e pianoforte op.18 è la sua unica Sonata per
quest'organico. La composizione risale al 1887, (l'autore era allora
ventitreenne), la pubblicazione è dello stesso anno. Sebbene sia una
composizione giovanile che risente di influenze varie, non ultima quella di
Brahms, Strauss ci mette già molto del suo. Soprattutto una certa insofferenza
per le forme classiche che fa apparire eccentriche certe soluzioni di
introduzione ai brani o particolarmente prolungate alcune esposizioni
tematiche. Tipica della Sonata in questione è poi la presenza di riusciti
"effetti" dal notevole impatto uditivo e una certa inclinazione al
virtuosismo. Se da una parte quest'ultimo elemento denota una ricerca di
consenso da parte del pubblico (consenso di cui abbisogna l'autore ancora
giovane), dall'altra le soluzioni più effervescenti vanno d'accordo col
carattere esuberante tipico della creatività di Strauss. Il primo tempo,
Allegro, si apre con un motto di carattere orchestrale enunciato dal
pianoforte, motto che dà l'impulso d'entrata al violino, le cui linee melodiche
possiedono quel lirismo, dall'espressione parlante e dall'inclinazione
dialogica, che già prefigura gli interessi futuri del grande operista. Sebbene
le modulazioni a tonalità lontane siano presenti già nell'esposizione, nella
successiva sezione dello sviluppo la frammentazione del materiale tematico
raggiunge risultati assai innovativi, soprattutto nella drammaticità a cui
riesce a dare vita la combinazione delle parti. La tensione generata raggiunge
livelli talmente alti da farci desiderare quasi come un bisogno la ripresa.
Interessante il trattamento del pianoforte che spesso disegna macchie sonore e
si intromette con sforzati, procedendo in maniera contrastante rispetto alla
fluidità lirica del violino. Di avvolgente fascino la Coda, dove Strauss riesce
a creare momenti di intensa passionalità. Il ritorno del motto iniziale e un
nuovo intervento lirico del violino rende più intima e interessante una
conclusione che rischiava di sfociare in un romanticismo di maniera. Il brano
successivo, Improvisation - andante cantabile, sembra procedere di sezione
lirica in sezione lirica come, appunto, un'improvvisazione; in realtà possiede
una chiara forma tripartita desunta dalla struttura del lied (A-B-A). Strauss
lo pensò adatto a costituire un pezzo singolo per violino e pianoforte e ne
autorizzò successivamente anche l'edizione separata. Tipico del brano è
l'intenso lirismo di cui protagonista assoluto è il violino. Interessante la
concitata parte centrale in minore che funziona da contrasto con la vellutata cantabilità
del resto. Il Finale in due tempi, Andante - Allegro, riprende lo schema della
forma sonata presente nel primo tempo. L'Allegro, preceduto da un'introduzione
lenta, viene anche qui introdotto dal pianoforte (come nel primo tempo) con un
motto chiaramente orchestrale che ricorda l'inizio del poema sinfonico Don
Juan, opera contemporanea alla Sonata. La condotta lirica del violino è qui
maggiormente appassionata rispetto al primo brano, che possiede i tratti di una
maggiore cantabilità. Strauss sceglie in quest'ultimo tempo di sacrificare lo
sviluppo e la ripresa a favore di un prolungato e vigoroso "climax"
che permette al violinista di mostrare molte delle sue capacità tecniche ed
espressive. C'è in questo passo il grande uomo di teatro. Difficile non farsi
trasportare da un abbraccio sonoro tanto avvolgente.
Nato
a Rimini, Enrico Pace ha studiato
con Franco Scala al Conservatorio di Pesaro, dove si è diplomato anche in
composizione e direzione d’orchestra. Si è perfezionato all’Accademia
Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola. Suo prezioso mentore
in seguito è stato il didatta belga Jacques de Tiège. Dopo la vittoria del
primo premio al Concorso Internazionale Franz Liszt di Utrecht nel 1989, Enrico
Pace si è esibito in tutta Europa in rinomate sale da concerto: Concertgebouw
di Amsterdam, Teatro alla Scala di Milano, Herkulessaal di Monaco di Baviera,
Philharmonie di Berlino. E’ stato invitato a suonare in numerosi Festival
internazionali, tra cui Lucerna, Salisburgo, Edimburgo, La Roque d’Anthéron,
Rheingau e il Festival Pianistico di
Brescia e Bergamo. Molto apprezzato come solista, si esibisce con orchestre
prestigiose, come la Royal Orchestra del Concertgebouw, la Filarmonica di
Monaco, la BBC Philharmonic Orchestra,
l'Orchestra Nazionale di Santa Cecilia di Roma, la MDR-Sinfonieorchester di Lipsia, la Camerata Salzburg, l’Orchestra
Filarmonica di Varsavia. Enrico Pace ha collaborato con numerosi direttori
d’orchestra fra cui spiccano Roberto Benzi, Gianandrea Noseda, Zoltan Kocsis,
Kazimirz Kord, Mark Elder, Lawrence Foster, Janos Fürst, David Robertson, Vassily Sinaisky, Stanislav
Skrowaczewski, Bruno Weil, Walter Weller e Antoni Wit. Agli impegni solistici
affianca un’intensa attività cameristica; ha collaborato fra gli altri con
il Quartetto Prometeo, il Quartetto
Keller, la cornista Marie Luise Neunecker, la violinista Liza Fertschman, la
clarinettista Sharon Kam, il violoncellista Daniel Müller Schott e il baritono
Matthias Goerne. Ha preso parte a diversi Festival di Musica da Camera tra cui
quelli di Delft, Risør, Kuhmo, Stresa e Moritzburg. Forma stabilmente un duo
pianistico con Igor Roma. Enrico Pace ha instaurato una fruttuosa
collaborazione con il violinista Frank Peter Zimmermann, con il quale suona in
Europa, Estremo Oriente e Sud America. Assieme hanno inciso la Sonata No. 2 di Busoni e le sei Sonate per violino e
tastiera BWV 1014-1019 di Bach. Nel 2013 è uscito un nuovo cd dedicato ad
Hindemith. Si esibisce regolarmente in recital anche con il violinista Leonidas
Kavakos. Il loro recente progetto dedicato alle sonate di Beethoven per violino
e pianoforte si è concretizzato in un'incisione integrale per Decca e
nell'assegnazione del Premio Abbiati della critica italiana.
Leonidas Kavakos è unanimemente ritenuto
artista di raro talento ed è apprezzato in tutto il mondo per il suo
virtuosismo e la sua ineguagliabile musicalità. Collabora con le orchestra più
importanti del mondo e registra in esclusiva per Decca Classics. I tre mentori
importanti nella sua vita sono stati Stelios Kafantaris, Josef Gingold e Ferenc
Rados. La consacrazione a livello internazionale è arrivata quando, non ancora
ventunenne, ha vinto tre importanti riconoscimenti dedicati alla musica per
violino. Nel 1985 ha
vinto il “Concorso Sibelius” e poi il “Premio Paganini” tre anni dopo. Tali
successi gli hanno spianato la strada verso nuove opportunità: è stato
protagonista della prima registrazione nella storia della versione originale
del Concerto per violino di Sibelius
(1903/4), che si è aggiudicata un “Gramophone Award”; ha inoltre avuto l’onore
di suonare sul celeberrimo violino “Il Cannone” Guarneri del Gesù appartenuto a
Paganini. La straordinaria carriera di Leonidas Kavakos lo ha portato a
stringere collaborazioni con le orchestre più prestigiose e i direttori
d’orchestra più importanti del mondo, tra i quali i Wiener Philharmoniker (Christoph Eschenbach, Riccardo Chailly), i Berliner Philharmoniker (Sir Simon
Rattle), l’Orchestra del Concertgebouw
(Mariss Jansons, Daniele Gatti), la London
Symphony Orchestra (Valery Gergiev, Sir Simon Rattle) e l’Orchestra della Gewandhaus di Lipsia (Riccardo Chailly).
Leonidas Kavakos collabora regolarmente anche con la Staatskapelle di Dresda, la Filarmonica di Monaco di Baviera, l’Orchestre de Paris, l’Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra Filarmonica della Scala
e, negli Stati Uniti, con la Philadelphia
Orchestra, la New York Philharmonic,
la Boston Symphony, la Chicago Symphony e la Los Angeles Philharmonic. Nell’attuale
stagione sarà in tournée con la London
Symphony Orchestra in Spagna, con la Bayerischer
Rundfunk negli Stati Uniti e suonerà ai Festival di Verbier, Notti Bianche
di San Pietroburgo, Edimburgo, Tanglewood e Annecy, oltre a presentare il ciclo
delle Sonate di Beethoven al Musikfestspiele
di Dresda. Leonidas Kavakos è molto impegnato come solista ma ha anche ampliato
e diversificato i suoi orizzonti musicali diventando un apprezzato direttore
d’orchestra: ha collaborato con la London
Symphony Orchestra, la Boston
Symphony, la Deutsches
Symphonie-Orchester Berlin, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, i Wiener Symphoniker e la Budapest Festival Orchestra. In questa
stagione, Leonidas Kavakos torna a dirigere i Wiener Symphoniker, la Chamber
Orchestra of Europe, l’Orchestre
Philharmonique de Radio France, e, per la prima volta, i Bamberger Symphoniker, la Danish National Symphony, l’Orchestra
Sinfonica della Radio Olandese, la Filarmonica di Rotterdam e l’Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. La sua prima pubblicazione per Decca
Classics, contenente l'integrale delle Sonate per violino di Beethoven eseguite
con Enrico Pace, è stata premiata come ‘Instrumentalist
of the Year’ agli ECHO Klassik Awards
del 2013. La seconda pubblicazione ha previsto, nell'ottobre 2013, il Concerto
per violino di Brahms registrato con la Gewandhausorchester di Lipsia e
Riccardo Chailly, mentre il terzo disco, contenente le Sonate per violino di
Brahms eseguite con Yuja Wang, è stato pubblicato nella primavera 2014.
Leonidas Kavakos è stato premiato come ‘Gramophone Artist of the Year 2014’. La
sua discografia precedente include registrazioni per le etichette BIS, ECM e
Sony Classical; con quest’ultima ha inciso i Concerti per violino e la Sinfonia
n. 39 di Mozart, eseguiti con la Camerata Salzburg ed il Concerto per violino
di Mendelssohn, sempre con la Camerata Salzburg, per cui ha ricevuto nel 2009
un ECHO Klassik come ‘Best Concerto Recording’. Nato e
cresciuto ad Atene in una famiglia di musicisti, Leonidas Kavakos ha sempre
mantenuto uno stretto rapporto con il suo paese natale: per quindici anni ha
curato la serie di musica da camera del Megaron di Atene dove si sono esibiti
importanti musicisti tra cui Mstislav Rostropovich, Heinrich Schiff, Emanuel
Ax, Nikolai Lugansky, Yuja Wang e Gautier Capuçon. Negli ultimi due anni ha
curato, sempre ad Atene, una importante masterclass annuale di violino e musica
da camera, attirando violinisti ed ensemble di tutto il mondo e dimostrando il
suo forte impegno nella trasmissione della conoscenza e le tradizioni musicali.
Oltre all’interesse sconfinato e all’incessante impegno rivolti ai diversi
stili musicali, Leonidas Kavakos ha una grande passione per l’arte della
liuteria, da lui considerata un profondo mistero e un segreto tutt’oggi non
ancora svelato. Il musicista greco suona uno Stradivari ‘Abergavenny’ del 1724
ma possiede dei violini moderni realizzati da Florian Leonhard, Peter Greiner,
Eero Haahti e David Bague e archetti di François Xavier Tourte, Dominique
Peccatte, Jean Pierre Marie Persois e Joseph Henry.
A. B.