lunedì 23 gennaio 2017

“Salome” di Richard Strauss: la trama

Salome
Dramma in un atto

Musica
Richard Strauss (Monaco di Baviera, 11 giugno 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 8 settembre 1949) 







Libretto
Hedwig Lachmann (Słupsk, 29 agosto 1865 – Krumbach, 21 febbraio 1918), dal poema omonimo di Oscar Wilde (Dublino, 16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900)

Prima rappresentazione
Dresda, Königliches Opernhaus, 9 dicembre 1905

Personaggi
Erode (tenore)
Erodiade (mezzosoprano)
Salome (soprano)
Jochanaan (baritono)
Narraboth (tenore)
Un paggio di Erodiade (contralto)
Cinque giudei (4 tenori e 1 basso)
Due nazareni (tenore e basso)
Due soldati (bassi)
Un cappadoce (basso)
Uno schiavo (basso)
Giudei

La vicenda è ambientata nella reggia di Erode a Gerusalemme

La trama
(Fonte: Dizionario dell’opera 2002 a cura di Piero Gelli, Baldini&Castoldi, Milano 2001. Voce di Enrico Girardi, pp.1136.1140)

Scena prima

È notte, la luna risplende luminosa e rischiara la sala dove Erode, tetrarca di Giudea, ha raccolto a banchetto i suoi cortigiani. A lato della sala, sorvegliata da due soldati, vi è un’antica cisterna nella quale è imprigionato Jochanaan, il Battista. Dialogando nei pressi della cisterna, il paggio di Erodiade tenta di convincere Narraboth, capitano dei soldati della guardia di Erode, a non lasciarsi ammaliare dalla lunare bellezza di Salome, figlia di Erodiade. Intanto dalla cisterna proviene la profetica voce di Jochanaan: «Dopo di me verrà uno ch’è ancor più forte di me...». I soldati discutono se egli sia un profeta o un pazzo ma, ligi all’ordine di Erode, impediscono l’accesso alla cisterna a un cappadoce che desidera vedere Jochanaan. Intanto si avvicina Salome, «simile a una colomba smarrita».

Scena seconda

La figlia di Erodiade è stanca degli sguardi insistenti che le rivolge il patrigno Erode ed è uscita a guardare la luna, «bella come una vergine ch’è rimasta pura». Ode la voce di Jochanaan, che continua a gridare le sue profezie, e ne è incuriosita al punto di ignorare l’ordine di Erode, riferitole da uno schiavo, di fare immediato ritorno nella sala, e di esprimere piuttosto il desiderio di incontrare il prigioniero. I due soldati non vorrebbero trasgredire l’ordine del re ma Salome, forte del suo potere di seduzione, non fatica a convincere Narraboth di ordinare loro di far uscire il profeta dalla cisterna.

Scena terza

Liberato dalla sua prigione, Jochanaan inveisce contro i peccati di Erode e soprattutto di Erodiade, ma ciò non impedisce a Salome di rimanere, contro il consiglio di Narraboth, in contemplazione dei suoi occhi, del suo corpo, della sua carne. Quando Jochanaan si accorge di essere osservato tanto voluttuosamente, respinge la fanciulla, inveendo di nuovo contro la madre che l’ha generata e il patrigno. Ma Salome ne è sempre più attratta, vorrebbe vederlo più da vicino, toccare il suo corpo, i suoi capelli, vorrebbe baciare la sua bocca, essere posseduta da lui. Narraboth la supplica invano di non guardare quell’uomo in modo tanto concupiscente, e non potendo più sopportare la violenza erotica di Salome, che ama perdutamente, si pugnala. Salome, che non si è nemmeno accorta del suicidio di Narraboth, continua a ripetere di voler baciare la bocca di Jochanaan, il quale, dopo aver maledetto la fanciulla, fa infine ritorno nella sua prigione.

Scena quarta

Erode, Erodiade e il loro seguito sono usciti dalla sala del banchetto; il tetrarca sta cercando Salome e non ascolta le parole di Erodiade, che lo invita a rientrare. Quindi scivola sul sangue di Narraboth – avvenimento che interpreta come un triste presagio – e ordina di portare via il cadavere. Raggiunta infine Salome, le offre il miglior vino, le porge i frutti più maturi, la invita a sedersi al suo fianco, ma lei respinge le sue offerte, mentre Erodiade continua a inveire contro di lui, rinfacciandogli di temere l’uomo che è imprigionato nella cisterna, da dove continua a scagliare le sue tremende profezie. Erode, invece, timoroso e superstizioso, proclama che Jochanaan è un sant’uomo, «uno che ha visto Dio»; ma l’affermazione è confutata teologicamente da cinque giudei, la cui dotta disquisizione è interrotta da un ordine di Erodiade, che ne è infastidita. Due nazareni intervengono in difesa del Battista, testimoniando la verità delle sue affermazioni sulla venuta del Salvatore. Erodiade intanto ordina di nuovo di far tacere Jochanaan, che continua a insultarla. Erode, indifferente alla cosa, si rivolge di nuovo alla figliastra pregandola insistentemente di danzare per lui. Solo alla promessa di avere in cambio tutto quello che vorrà, Salome acconsente, nonostante l’esortazione della madre di non compiacere il patrigno. Ma Salome è ormai decisa a danzare e si fa togliere i sandali dalle schiave sopraggiunte a portarle i profumi e i sette veli. Sulla note di una musica selvaggia, Salome esegue una conturbante danza, con i veli che cadono a uno a uno, fino a lasciarla in terra ai piedi del tetrarca, estasiato. E quando Erode le domanda quale sia la ricompensa da lei desiderata, ella ordina che venga portata la testa di Jochanaan su un piatto d’argento. Erodiade si compiace della richiesta della figlia, mentre Erode ora vacilla, supplicandola di chiedere anche la metà del suo regno ma di rinunciare al terribile proposito. Salome, tuttavia, è irremovibile. E quando finalmente, dopo attimi di terribile attesa, il carnefice le consegna l’oggetto del suo desiderio, si lascia andare a un canto in cui esprime tutta la sua irrefrenabile passione: «Perché non mi guardasti? Se tu mi avessi guardata, mi avresti amata. Lo so bene, mi avresti amata. E il mistero della morte è più grande del mistero dell’amore». Il suo canto ha termine solo quando, afferrata al colmo dell’eccitazione la testa di Jochanaan, la fanciulla ne bacia la bocca sanguinante. Sulla reggia cala una tetra oscurità, rischiarata appena da una raggio di luna. Erode, sopraffatto dall’orrore del bacio necrofilo di Salome, ordina ai soldati di uccidere la figliastra.