Venerdì 24 ottobre alle ore 19.00, l’opera
in un atto di Salvatore Sciarrino, su libretto dello stesso compositore (dalla
parabola “Vor dem Gesetz” di Kafka) andrà in scena in prima italiana. Sul
podio, Tito Ceccherini; regia di Johannes Weigand
Venerdì 24
ottobre 2014 alle ore 19.00 andrà in scena al Teatro Malibran, ultimo appuntamento della Stagione lirica
2013-2014, la prima rappresentazione
italiana dell’opera in un atto di Salvatore Sciarrino La porta della legge, basata su un libretto dello stesso
compositore tratto dalla parabola Vor dem
Gesetz (Davanti alla legge) di Franz Kafka, e definita dall’autore «quasi un
monologo circolare».
L’opera, scritta su commissione delle
Wuppertaler Bühnen, sarà presentata nell’allestimento prodotto dalla compagnia
tedesca per la prima assoluta, che ebbe luogo il 25 aprile 2009 all’Opernhaus
di Wuppertal. La regia è di Johannes Weigand,
le scene e i costumi di Jürgen Lier e il video della scena terza di Jakob
Creutzburg. Tito Ceccherini, che
diresse l’opera a Mannheim nel 2009 e 2010, dirigerà l’Orchestra del Teatro La
Fenice e il piccolo cast formato dal basso-baritono Ekkehard Abele nel ruolo
dell’uomo 1, dal basso Michael Tews nel ruolo dell’usciere e dal controtenore
Roland Schneider nel ruolo dell’uomo 2.
La prima di venerdì 24 ottobre (che
sarà registrata e trasmessa in differita da Rai Radio3) sarà seguita da quattro
repliche, domenica 26 (turno C) alle 15.30, martedì 28 (turno D) e giovedì 30
(turno E) alle 19.00, e domenica 2 novembre (turno B) alle 15.30. La
pomeridiana di domenica 2 novembre rientra nell’iniziativa «La Fenice per la
provincia». L’opera è cantata in italiano con sopratitoli.
Incorporato nel capitolo IX del
romanzo incompiuto Il processo, il
racconto Davanti alla legge fu
pubblicato autonomamente da Kafka nel 1915 nel settimanale ebraico «Sebstwehr».
In esso un anonimo «uomo di campagna» chiede a un altrettanto anonimo guardiano
di accedere alla legge, la cui porta è sempre aperta. L’usciere nega il
permesso, ma non esclude che l’uomo possa essere ammesso in seguito, pur
sottolineando l’improbabilità di un esito positivo. L’uomo attende per anni
davanti alla porta, inutilmente. Poco prima di morire domanda come mai nessun
altro sia venuto a chiedere di essere ammesso e l’usciere risponde che quella
porta era riservata a lui solo e ora, con la sua morte, verrà richiusa.
Su questa scarna ed enigmatica trama
Salvatore Sciarrino (1947-) ha basato la sua penultima opera teatrale, La porta della legge, rappresentata per
la prima volta il 25 aprile 2009 all’Opera di Wuppertal, che l’aveva commissionata,
e ripresa poi nel luglio 2009 a Mannheim, nel luglio 2010 al Lincoln Center di
New York, nel marzo 2012 a Bogotá, nel giugno 2012 a Ostrava e ora nell’ottobre
2014, in prima italiana, a Venezia. Con un’allusione dichiarata alla situazione
politica italiana – testimoniata dalla premessa alla partitura, in cui con
insolita asprezza Sciarrino esplicita l’attualità dell’opera – il compositore
siciliano mette a nudo il potere tirannico esercitato dalla burocrazia tanto
nei regimi totalitari quanto nelle democrazie in crisi, dove una cronica
mancanza di comunicazione tra apparato di potere autoreferenziale e cittadino
incapace di uscire dall’isolamento cui è condannato da un’irreparabile
disgregazione sociale è causa di morte e immobilità per l’individuo e per la
società.
L’indifferenza del sistema politico di
fronte ai bisogni della comunità si rispecchia nella maniera in cui la vicenda
dell’opera è raggelata nel tempo, sintetizzata nel sottotitolo «quasi un
monologo circolare». Se apparentemente, nello scambio tra uomo e usciere, la
narrazione ha una struttura dialogica, le continue ripetizioni di frammenti di
discorso, le oniriche sonorità orchestrali e il fatto che l’uomo agisca e
contemporaneamente descriva le sue azioni la spostano verso una dimensione monologante
(«quasi un monologo») di sofferenza psichica quasi patologica, come se l’uomo
rivivesse in punto di morte l’assurdità della sua storia. L’aggettivo
«circolare» allude invece all’intuizione drammaturgica sciarriniana di ripetere
per tre volte la stessa vicenda, con parole e musica leggermente variate ma
struttura analoga, dapprima (scena 1) con un «uomo 1» impersonato da un
baritono, poi (scena 2) con un «uomo 2» cantato da un controtenore, e infine
(scena 3) con i due uomini sincronizzati ma inconsapevoli l’uno dell’altro,
alle prese con lo stesso, inflessibile usciere. Come cioè se quella scena
potesse ripetersi all’infinito, con cittadini sempre diversi e sempre impotenti
di fronte all’assurdità di un potere fine a se stesso.
L’inquietante spazio sonoro che
contiene l’eloquio lacerato dell’uomo e le risposte ironiche o distaccate
dell’usciere, punteggiato da impulsi ritmici di due pianoforti, due grancasse,
campane, log drum, tam-tam e marimbone, è suddiviso su tre livelli. Il primo
costituisce un fondale sonoro quasi impercettibile, affidato ai respiri,
raschiamenti, fruscii di flauti, ottoni, archi sul legno della cassa, lastra
d’acciaio; il secondo contiene interiezioni più aggressive, spesso collegate al
personaggio dell’usciere: suoni multipli dei legni, frullati degli ottoni,
glissandi d’armonici naturali degli archi; il terzo, in primo piano, propone
frammenti melodici della viola sola, del flauto solo, del violoncello solo o
del clarinetto contrabbasso, che contrappuntano e commentano il dialogo dei
protagonisti.
(comunicato stampa)