da Vincenzo Vitale, Il pianoforte a Napoli
nell’Ottocento
Vincenzo Vitale (Napoli,
13 dicembre 1908 – Ivi, 21 luglio 1984)
Vincenzo Romaniello
(Foto: consultamusicale.it) |
Il Carnaval de Pesth è la nona
rapsodia di Liszt. Ogni pianista degno di questo nome non ne ignora le
trascendentali difficoltà. È un pezzo che solo pochi virtuosi possono eseguire:
banco di prova del raggiunto dominio della tastiera. Vincenzo Romaniello lo
padroneggiava da giovane con magistero pianistico: pronostico d’una felice
carriera. Che si arrestò sulle soglie del Conservatorio di Musica in S. Pietro
a Majella quando Vincenzo Romaniello, che l’aveva già frequentato come alunno
esterno e come convittore, vi fu nominato insegnante di pianoforte.
Secondo in graduatoria, dopo Giuseppe Martucci, in seguito ad un concorso
per titoli, gli fu assegnato l’insegnamento di pianoforte complementare in
mancanza d’una cattedra ‘principale’. Cattedra che gli fu affidata dopo la
morte del suo maestro Ernesto Coop.
Vincenzo Romaniello insegnò nella sezione femminile del Conservatorio. La
separazione dei sessi era osservata con severità e rigore dal ‘censore’ dell’Istituto:
un ometto piccolo, grassoccio e baffuto, sempre correttamente vestito, con redingote e bombetta.
Romaniello covava le sue alunne in un’aula protetta da finestre col vetro
opaco, al secondo piano. Anche questo accorgimento era studiato dal ‘censore’,
che aveva confinato i maschi a pianterreno o al primo piano. Gli arrampicamenti
sui muri gli risultavano più complessi delle discese con funi o lenzuola
annodate.
In questo mondo ginecologico e virgineo Romaniello s’impantanò,
sacrificando il suo talento di esecutore sull’ara di Vesta: e furono centinaia
le fanciulle ch’egli avviò al pianoforte. Attrezzato di tutti i ferri didattici
necessari alla bisogna, dall’immancabile Metodo
al corredo di pezzi da salon, operò
ininterrottamente in Conservatorio e fuori. Ed in tutte le stagioni. D’estate
portava la moglie e la figlia a Somma Vesuviana ‘in campagna’: egli stesso,
teoricamente, vi si trasferiva, ma l’atto del villeggiare non si confaceva alla
sua operosità. La mattina, quando le viti ed i frutteti sorridevano al sole
nascente, si avviava alla stazione della Circumvesuviana sorreggendo il
panierino bucherellato in cui la moglie aveva sistemato la merenda che doveva
sostenerlo fino al ritorno serale. E s’immergeva di nuovo nell’opus didascalico che esercitava nel
ventre di Napoli, a piazza Carità. Anche Romaniello coltivò apprezzabili
iniziative. Due, sopra tutte, incisero nella vita musicale di Napoli. Una
Società orchestrale ed il ‘Circolo Romaniello’ istituito parallelamente al più
qualificato ‘Circolo Cesi’.
Alle tre lezioni settimanali e mattutine in Conservatorio, seguivano i
pomeriggi riempiti dalle lezioni private. Un lavoro incessante: estate ed
inverno erano interrotti solo meteorologicamente dalla primavera e dall’autunno.
Le stagioni non interferivano nella tenacia professionale di Vincenzo
Romaniello. Ma tanta dedizione doveva dissolversi in un totale annullamento di
qualsiasi traccia non che umana persino immobiliare e mobiliare.
La casa di Vincenzo Romaniello fu inghiottita dagli sventramenti seguiti
alle cosiddette riforme edilizie. Scomparvero pure i suoi mobili, venduti all’asta
dall’amministratore municipale per mancanza di eredi. La moglie paralitica e la
figlia cieca erano scomparse prima di lui.
Chi conobbe Romaniello e la sua bruciante passione per l’insegnamento non
considerò una così squallida conclusione del vivere dell’insigne personaggio un
immeritato castigo. L’assiduo operare con fede ed entusiasmo riempì la vita di
questo maestro laborioso e zelante, ripagandolo dei sinistri colpi del destino.
Laboriosità e zelo che possono rintracciarsi nell’unica sua fatica ancora produttiva:
l’onesta e rispettosa revisione didattica delle musiche pianistiche di Felix
Mendelssohn-Bartholdy.
(Vincenzo Vitale, Il
pianoforte a Napoli nell’Ottocento, Saggi Bibliopolis 10, Napoli:
Bibliopolis 1983, pp. 115-116)
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