Edward Said
(Gerusalemme, 1935 – New York, 2003)
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Forse la prima cosa di cui ci si ricorda a proposito di
Edward Said è l’ampiezza dei suoi interessi. Egli non solo si sentiva a proprio
agio con la musica, la letteratura, la filosofia o l’interpretazione della
politica, ma era anche una di quelle rare persone in grado di cogliere i
collegamenti e i paralleli fra le diverse discipline, perché possedeva un’eccezionale
capacità di comprensione dello spirito umano, e si rendeva conto che i
paralleli e i paradossi non sono contraddizioni.
Edward Said non vedeva la musica solo come una combinazione
di suoni, ma comprendeva il fatto che ogni capolavoro musicale è, ed è sempre
stato, anche una concezione del mondo. La difficoltà risiede nell’inesprimibilità
verbale di tale concezione – perché se fosse possibile esprimerla in parole, la
musica non sarebbe più necessaria. Tuttavia Said capì che l’inesprimibilità non
equivale a un’assenza di significato.
La sua intelligenza curiosissima, è chiaro, gli dava il
privilegio di intuire il subconscio degli individui, dei creatori. A ciò si
aggiunga un coraggio spontaneo e naturale nell’espressione del proprio
pensiero, ed ecco spiegate l’ammirazione, l’invidia e l’ostilità che tanti
nutrivano nei suoi confronti.
Molti israeliani ed ebrei mal sopportavano le critiche che
Said rivolgeva non solo al governo israeliano attuale, ma a una certa
mentalità, che riconosceva nei pensieri e nelle azioni di Israele – vale a dire
l’incapacità di comprendere che la Guerra d’indipendenza d’Israele del 1948,
che portò la parte ebraica della popolazione all’acquisizione di una nuova
identità, per la popolazione non-ebraica della Palestina fu non solo una
sconfitta militare, ma una catastrofe. Said quindi era assai critico verso l’incapacità
dei leader israeliani di compiere i gesti simbolici necessari che devono
precedere qualunque soluzione politica. Gli arabi, d’altro lato, non erano né sono
ancora oggi pronti ad accettare l’apprezzamento che Said manifestava per la
storia ebraica, e si limitano a ripetere di non avere colpa per le sofferenze
subite dal popolo ebraico.
Era una sua caratteristica la capacità di vedere non solo i
diversi aspetti di ogni pensiero o processo, ma anche le loro conseguenze
ineluttabili – oltre alla combinazione della dimensione umana, psicologia e
storica che, secondo il caso, costituisce la “pre-storia” di tali pensieri e
processi. Era una di quelle rare persone permanentemente consapevoli del fatto
che l’informazione è solo il primissimo passo verso la comprensione dei
fenomeni. E cercava sempre quello che c’era “oltre” una determinata idea, il “non-visibile”
dall’occhio, il “non-udibile” dall’orecchio.
Fu una combinazione di tutte queste qualità messe insieme che
lo spinse a fondare insieme a me l’East-Western Divan, un forum che offre ai
giovani musicisti israeliani e arabi la possibilità di imparare insieme la
musica in tutte le sue ramificazioni.
I palestinesi hanno perso con Edward Said uno dei più
eloquenti difensori delle loro aspirazioni. Gli israeliani hanno perso un
avversario – ma equo e umano. Io ho perso un’anima gemella.
(25 settembre 2003)
Testo
tratto da Daniel Barenboim, La musica sveglia il tempo, Giangiacomo
Feltrinelli Editore, Milano 20084, pp. 159-160
N.B. Per la biografia di Edward Said leggi QUI
A.B.