Questa sera, in occasione del Concerto della Filarmonica della Scala
diretto da Susanna Mälkki, il Sovrintendente Stéphane Lissner ha letto questo
personale ricordo di Claudio Abbado, invitando il pubblico a un minuto di
raccoglimento
La
Scala oggi è silenziosa. Claudio Abbado ci ha lasciati. Così si usa dire. Ma in
realtà non è vero: in questo teatro resterà per sempre. Il ricordo del suo concerto del 30 ottobre
2012, insieme a Daniel Barenboim, è ancora nell’aria. Il segno che ha lasciato nei
diciotto anni della sua presenza qui, ancora visibile.
Alla
Scala, Abbado ha dedicato il fiore dei suoi anni: ne aveva ventisette quando ha
diretto per la prima volta, nel 1960, alla Piccola Scala. Nel 1965 ha debuttato
in questa sala con la Seconda Sinfonia di Mahler. Nel 1968 ha assunto la guida
dell’Orchestra. Nel 1972 è diventato Direttore Musicale del Teatro.
In
diciotto anni è salito sul podio di 362
spettacoli d’opera, 217 concerti e 6 balletti, per un totale di 567 serate. Ma questi, in fondo, sono solo numeri. Claudio
Abbado era ben altro che una carriera ai
vertici della musica negli ultimi cinquant’anni del nostro tempo.
Innanzitutto
c’era l’uomo, che ho conosciuto prima del musicista. Con lui e Peter Brook abbiamo
lavorato insieme per tre mesi - tempo incredibile per un solo spettacolo - ed è
nato un Don Giovanni che ha fatto
storia e ha girato il mondo, arrivando fino a Milano, al Piccolo Teatro.
Con
lui vedevo crescere le idee del regista riflesse nello specchio della sua intelligenza
musicale, in cui il dominio dei dettagli non offuscava mai la visione del
tutto. Erano importanti anche i suoi silenzi. E il pubblico si era affezionato a decifrare i
grandi moti dell’animo dai piccoli gesti. Intuiva la complessità che c’era
dietro tanta discrezione.
Alla
Scala, Abbado ha diretto un repertorio sterminato, da Rossini a Nono, da Verdi
a Schoenberg. Ha realizzato festival dedicati
a Musorgskij, a Stravinsky, a Berg, in cui si eseguiva tutta la musica di
quegli autori e si facevano convegni internazionali di cui rimanevano gli atti,
ad arricchire la riflessione. Insieme a Maurizio Pollini ha portato la musica in
città, nelle scuole, sui posti di lavoro. Alla Scala ha aperto cicli speciali
per Giovani e Anziani, che ancora sono rimasti nell’offerta del Teatro.
Per
Abbado la musica era un territorio senza confini, dal Settecento all’oggi:
nessuna frattura fra Romanticismo e
Novecento, nessuna predilezione, ma sempre e solo un grande lavoro di approfondimento per trovare
il cuore di ogni espressione in ogni tempo.
Ed
è per questo che Abbado è stato grande in Verdi come in Berg, in Rossini come
in Stravinsky, in Schubert come in Musorgskij, in Beethoven come in Bartok.
Un
programma come quello di questa sera, gli sarebbe piaciuto. Ed è ancora un
segno del destino che in questi giorni, domani stesso, salga su questo podio
Daniel Harding, in cui Claudio fu il primo a credere.
Pochi
hanno avuto come lui fiducia nei giovani: con loro ha perfino creato orchestre
antiaccademiche con le quali ha voluto rileggere i classici con occhi nuovi e
nuovo scatto. I
musicisti e i registi con cui lavorare li sceglieva con amore del rischio, senza
vedere in nessuno di loro – tutti grandi, grandissimi – un’ombra per sé. Con
lealtà ne ha condiviso le scelte e gli onori. La
sua idea della musica e del teatro non vedeva separazioni con il mondo che
viviamo. Per questo abbiamo cercato di fare teatro, in questi anni, un po’ seguendone
le tracce.
Stéphane Lissner
20 gennaio 2014