«Credo
che, se tutto quello che c’è di buono e bello in Italia venisse valutato
realmente e paragonato a quello che c’è nel resto del mondo, l’arte di questo
Paese raggiungerebbe i primi posti a livello internazionale»
Petra Conti (©Brescia-Amisano) |
Una
mamma e una sorella ballerine: danzare è stata una scelta naturale o in qualche
modo suggerita? Suggerita dal DNA in modo
assolutamente naturale! Sono stata influenzata da questo mondo fin da bambina,
ma ne ho preso coscienza con il tempo e da sola. Così come, in totale e piena
autonomia, ho chiesto ai miei genitori di studiare danza.
Quando
hai capito che la danza sarebbe diventata la tua vita? Non è stato un colpo di
fulmine ma una vocazione: un processo spontaneo e graduale, attraverso il quale
ho capito che danzare era quello che volevo fare nella mia vita.
Tua
madre è polacca e tuo padre italiano: quanto e in che misura hanno influito
queste due differenti culture nella tua crescita? Per me è sempre stato un
grande vantaggio crescere influenzata da due culture differenti e l’essere bilingue dalla nascita
mi ha facilitato anche durante gli anni di scuola: in più, quando sono stata a
San Pietroburgo, grazie alla conoscenza del polacco, ho imparato facilmente
anche il russo. Senza accorgermene, le due culture, quella italiana e quella
polacca, si sono fuse in me rendendomi quasi un ibrido, libero da stereotipi e
preconcetti, da mentalità tipiche di un Paese, dandomi, invece, la possibilità
di adattarmi facilmente a nuovi ambienti e a nuove culture. Forse è anche per
questo che mi sento uno spirito libero, che sta bene in ogni luogo e non
rimpiange il focolare domestico, che adora viaggiare, scoprire nuovi paesaggi,
lingue, cibi e culture.
Petra Conti in Giselle (©Brescia-Amisano) |
Diventare
prima ballerina di un teatro prestigioso come la Scala a soli 23 anni è un
grande onore e una bella soddisfazione ma comporta anche enormi responsabilità:
cos’è cambiato nelle tua vita da quel momento? È sicuramente cambiato l’approccio
al mio lavoro: ora, concentrandomi solamente sui ruoli principali, mi sembra
davvero di lavorare per me stessa. È un continuo arricchimento, una continua
crescita come ballerina e come persona: di produzione in produzione posso
confrontarmi faccia a faccia con i coreografi, i maestri e gli ospiti che
lavorano con me in sala ballo. Il peso della responsabilità che comporta la mia
posizione equivale alla soddisfazione di godere di questi privilegi.
Prima
di entrare in scena c’è più adrenalina o paura? L’adrenalina c’è sempre:
senza di essa credo che nessun artista riuscirebbe ad affrontare la scena. La
paura, invece, è qualcosa di paralizzante e non è un bene. In genere, io non
vedo l'ora di uscire sul palco per dare finalmente sfogo alle emozioni e allo
stress che ho accumulato dietro le quinte.
Petra Conti in Excelsior (©Damir Yusupov) |
Ti
sei diplomata all’Accademia Nazionale di Danza di Roma: come hai vissuto quegli
anni? Sono stati sicuramente gli
anni più impegnativi della mia vita: la mattina a scuola, il pomeriggio, spesso
fino a tardi, a danza. L’intera giornata passata negli edifici dell’Accademia e
la notte, dietro la scrivania, a fare i compiti. In quel periodo ho studiato
molto e non mi sono concessa
distrazioni: volevo fare del mio meglio ed ero consapevole del fatto che se
avessi seminato bene, avrei poi raccolto buoni frutti in futuro.
Petra Conti in Raymonda (©Brescia-Amisano) |
Per un anno ti sei perfezionata al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo: cosa ti è rimasto di quell’esperienza? È stato l’anno che mi ha fatto capire veramente “come si fa la danza”! Un’esperienza più unica che rara per potermi confrontare giornalmente con alcuni dei più grandi mostri sacri del balletto, vivere le loro giornate in teatro, assistere a tutti gli spettacoli in Cartellone, avere una maître (Elvira Tarasova) tutta per me, per lavorare sui principali ruoli del repertorio. In compagnia sono nate amicizie molto importanti e che durano ancora: gli altri ballerini mi chiamavano l’“italianka” e mi hanno fatto sentire, fin da subito, una di loro. Ho amato la città, le persone, l’atmosfera: vivere lì mi ha arricchito non solo come ballerina ma anche come persona.
Perché,
secondo te, la danza in Italia non è seguita e considerata come in altri Paesi? Penso per disinformazione
e purtroppo per poca cultura della danza. Se vai in Russia e dici che sei una
ballerina, la gente ti guarda subito con stima e considerazione, ti venera già
solo per il fatto che sei un'artista: lì i teatri sono pieni tutti i giorni e
tra il pubblico ci sono tutte le classi sociali. È come se ci fosse
quell'entusiasmo e quel tifo che in Italia si vede solo in uno stadio durante
una partita di calcio.
Per
un anno hai vissuto anche a Monaco di Baviera, facendo parte della compagnia
del “Bavarian State Ballet”: quell’esperienza, però, non è stata, per te,
totalmente positiva. Perché? È stato un anno difficile
per me ma, allo stesso tempo, anche importante perché quest’esperienza mi ha fatto
crescere e maturare molto: sono stata a lungo ferma per via di un infortunio e
ho ballato poco. Non sarei rimasta comunque a lungo lì: nonostante la compagnia
fosse giovane e brillante, mi deprimeva il fatto che le opportunità per i giovani
erano veramente poche.
Come
vedi il futuro culturale dell’Italia? Il problema generale
dell’Italia, secondo me, sta nel fatto che gli italiani sono, molto spesso,
esterofili e, purtroppo, un po' in tutte le forme di arte e in tutte le
discipline, non solo nel ballo. È per questo che molti artisti sono “costretti”
ad andare oltre confine per avere un po' di notorietà, riconoscimenti, gratifiche
economiche ed eventualmente poi tornare già a carriera fatta. Spesso non si riconosce
e non si valorizza chi cerca di lavorare
in Italia e far fruttare la sua arte “in casa”. Credo che, se tutto quello che
c’è di buono e bello in Italia venisse valutato realmente e paragonato a quello
che c'è nel resto del mondo, l’arte di questo Paese raggiungerebbe i primi posti
a livello internazionale.
Il
direttore del Corpo di Ballo della Scala, Makhar Vaziev, sta puntando
moltissimo sui giovani, dando la possibilità a molti ballerini di esibirsi in
ruoli di rilievo. Com’è vissuta quest’opportunità dal Corpo di Ballo? Con l’arrivo del direttore
Makhar Vaziev sono stata una delle prime “giovani” a essere lanciata in ruoli
importanti: all’inizio non è stato facilissimo. Ora, però, dopo che molti tra i
più giovani hanno avuto e stanno avendo grandi opportunità, penso che l’atmosfera
sia cambiata e che questa ondata di rinnovamento abbia coinvolto tutti, anche i
più “grandi”, giovando all’equilibrio dell’intero
Corpo di Ballo.
Giselle [Qui un video del balletto girato durante la tournée in Brasile, n.d.r.] è un ruolo al quale sei molto legata, anche perché è stato quello del tuo
debutto in Scala. C’è un altro ruolo che ami particolarmente? Adoro i ruoli drammatici:
oltre a Giselle mi sono “innamorata” anche di Marguerite (in Marguerite et Armand), di Tatjana (in Onegin) e di Juliette (in Roméo et Juliette). Tutti i ruoli dove
ci scappa una lacrima!
Petra Conti e Ivan
Vasiliev in prova
durante Notre-Dame de Paris (©Rudy
Amisano)
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Petra Conti e Massimo Murru in prova durante Notre-Dame de Paris (©Rudy
Amisano)
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Recentemente sei stata Juliette in “Roméo et Juliette” di Sasha Waltz: quanto è stato difficile per te confrontarti con il linguaggio contemporaneo della Waltz?
Poter lavorare con Sasha
Waltz ha rappresentato, per me, un’esperienza molto importante: ho fatto un
lavoro lungo e profondo, soprattutto sul contatto dei corpi, sul disequilibrio,
sull’espressione del movimento nella scenografia. Abituata alle punte, mi sono
dovuta adattare a eseguire un intero balletto a piedi nudi, percependo in
maniera del tutto nuova il contatto con il suolo. Questo linguaggio parte da
una "sensazione naturale" e, proprio per questo, è stato più facile, per
me, interpretare Juliette con molta naturalezza e spontaneità in scena, usando
i movimenti della Waltz – che sono spogliati da qualsiasi artificio di stile e
ridotti all’essenziale – per risaltare le sfumature emozionali del mio
personaggio.
Ci
sono molti luoghi comuni sul mondo della danza, tra i quali alcuni negativi, ad
esempio l’anoressia o l’invidia tra le ballerine (tema che il film Blck Swan ha evidenziato fino
all’esasperazione). Quanto c’è di vero?
L'anoressia tra le
ballerine professioniste è davvero rara perché, quando si lavora tanto, lo
stress fisico è pari a quello di uno sportivo a livello agonistico: proprio per
questo c’è bisogno di mangiare per reintegrare l’energia. Non si riuscirebbe,
altrimenti, a reggere più di una giornata di lavoro. Molto spesso la fisionomia
esile viene confusa con l’anoressia: in realtà, le ballerine sono magre ma
hanno una muscolatura forte e tonica. L’invidia, invece, purtroppo esiste: tra
i ballerini è presente un’eterna competizione ma essendo la danza un’arte, non
è giudicabile con punteggi e per questo anche la bravura viene valutata in
maniera soggettiva.
Quali
sono le doti necessarie per diventare ballerini professionisti?
Come diceva sempre il
maestro Prebil Zarko, per intraprendere questa carriera sono necessarie qualità
psico-fisiche: io aggiungo anche tanta forza di volontà, determinazione e un po’
di follia.
Cosa
si potrebbe fare per avvicinare nuovo pubblico alla danza?
Sarebbe importante rendere
gli spettatori più partecipi del nostro lavoro quotidiano, magari facendo riprese
di backstage, di prove in sala, o svolgendo approfondimenti sullo studio che
ogni artista fa sul ruolo che deve interpretare: ci vorrebbero, inoltre, più
programmi in tv sui balletti, più spettacoli per un pubblico eterogeneo e una
maggiore informazione sulla danza in generale.
Petra Conti ed Eris Nezha in Marguerite et Armand (©Brescia-Amisano) |
Anche
il tuo compagno Eris Nezha è primo ballerino del Teatro alla Scala: quanto è
importante condividere la stessa passione e gli stessi sacrifici?
È davvero bello essere
coppia nella vita e nella danza: lavorare insieme è un grande aiuto, uno
stimolo quotidiano e un punto fermo che dà sicurezza. Ed è anche tutto più
facile in due perché ci sosteniamo a vicenda e impariamo l’uno dall’altro: anche
a casa , dopo le prove, ci consigliamo e, insieme, approfondiamo il lavoro sui personaggi.
Conosciamo a memoria i dolori, le debolezze e i punti forti dell’uno e
dell’altro. Inoltre, siamo veramente noi stessi quando interpretiamo un passo a
due d’amore!
Adriana Benignetti
N.B. Tutte le foto sono di proprietà esclusiva del Teatro alla Scala di Milano e non possono essere utilizzate senza autorizzazione