mercoledì 25 gennaio 2012

Pappano, Brunello e la musica che va dritto al cuore

Un magico Dvořák e un Elgar “riscoperto”: cronaca di una serata indimenticabile




Ci sono giornate nella vita che rimangono indelebili nella nostra memoria, come scalfite con cura precisa e quasi maniacale. In alcuni casi, ci si rende conto della loro “unicità”, soltanto tempo dopo, confrontandole con il prima e con il dopo: altre volte, invece, si ha la fortuna di percepire, già mentre le si vive, che qualcosa di magico le avvolge e le renderà speciali.
Lunedì 23 gennaio 2012 è stata, per me, una di quelle giornate. Da quando avevo ricevuto l’invito da parte di Telecom ad assistere al concerto con Mario Brunello e l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia diretta da Sir Antonio Pappano, ero eccitata – come un bambino al quale è stato promesso un giocattolo tanto desiderato – e, allo stesso tempo, preoccupata che tante aspettative potessero venire deluse. Tutt’altro!

Rispetto all’orario d’inizio concerto, sono arrivata con largo anticipo all’Auditorium Parco della Musica di Roma: era la mia prima volta qui e volevo avere il tempo e la calma di guardarmi attorno. La splendida struttura, creatura di Renzo Piano, è ancora più bella dal vivo: una sorta di città nella città, circondata dal verde e con tre “cupole” (le tre sale) visibili già da lontano: la “Sala Santa Cecilia”, dove si terrà il concerto, pur essendo, con i suoi 2.800 posti, la più grande d’Europa è accogliente e “raccolta”. Il palco al centro, di fronte la platea e in alto, tutto intorno, a differenti altezze, i posti di galleria: in più, il rivestimento in legno del controsoffitto rende l’acustica davvero ottimale.
Con qualche minuto di ritardo, finalmente, inizia l’evento: il Concerto per violoncello e orchestra in si min. op. 104 di Antonín Dvořák, primo brano in programma, è tra i più celebri del repertorio sinfonico. Chiunque frequenti con una certa assiduità le sale da concerto lo avrà ascoltato più e più volte: eppure, sotto le sapienti mani di Mario Brunello, assume nuovo incanto e rinnovata poesia. Abbracciato al suo “Maggini”, quasi un prolungamento naturale delle sue braccia, Brunello sa essere travolgente e intimo, appassionato e dolce, energico e delicato: una gamma infinita di sfumature e un suono che avvolge e va dritto al cuore. L’orchestra di Santa Cecilia, magnificamente guidata da Sir Antonio Pappano, e ottimamente trainata dal Primo Violino Gregory Ahss, dialoga con Brunello con sapienza, dimostrando qualità strumentali di altissimo livello, omogeneità e compattezza nell’insieme e prime parti (legni e ottoni, in particolare) in splendida forma. Alla conclusione del concerto gli applausi sono scroscianti e, richiamato dal pubblico più volte, Brunello concede come bis un tradizionale canto armeno (Havun-havun), altra delicata, ancestrale, poesia. Da sottolineare come, nonostante questa fosse la prima collaborazione artistica tra Brunello e Pappano, i due musicisti abbiano mostrato un’affinità e una sintonia davvero sorprendenti.
Dopo l’intervallo, Pappano prende il microfono e, con un po’ d’imbarazzo, sottolinea che la Sinfonia n. 1 di Edward Elgar – brano poco “frequentato” nelle sale da concerto e sconosciuto ai più – non veniva eseguita a Roma (città nella quale, tra l’altro, fu composto il primo movimento) da ben 95 anni. Con l’ausilio dell’orchestra, Pappano illustra i temi della Sinfonia, spiegando come tutto il brano sia costruito attorno a una tensione continua tra due tonalità, il la b magg. iniziale, nel quale viene esposto il tema principale, nostalgico, semplice e nobile (e chiaramente ispirato al Parsifal di Wagner)  e il re min. nel quale gran parte del secondo movimento è composto: tutta la sinfonia è animata da questa tensione e dalla volontà di “tornare a casa”, ossia alla tonalità principale, cosa che si realizza nel Finale, esplosivo e drammatico allo stesso tempo. La breve e delucidante guida all’ascolto del carismatico direttore si rivela molto utile: la Sinfonia  è lunga, in alcuni casi forse ridondante, ma l’ascoltatore, indirizzato dalle sapienti parole del direttore, ha potuto godere dei tanti momenti di lirismo, dell’energia vitale di alcuni passi, del Finale davvero travolgente e, soprattutto, della “personalità” di Elgar che, pur influenzato da Wagner, Brahms, Liszt, Schubert, ha saputo trovare una sua chiara e forte identità. Una lettura, quella di Pappano, coinvolgente, chiara e attenta a ogni particolare e sfumatura.
Il concerto finisce tardi, alle 23.30: per me il tempo è davvero volato. Soddisfatta, torno in albergo con la consapevolezza di aver vissuto una giornata davvero indimenticabile.

N.B. Per chi avesse perso il concerto, c’è la possibilità di riascoltarlo, alla sezione

Adriana Benignetti
P.S. Un ringraziamento, sentito e sincero alla Telecom Italia, nelle persone di Alessandra Pancani e Veronica Ricasoli, per avermi offerto l’opportunità di vivere questo meraviglioso evento!