Sei romanze senza parole per pianoforte, 2° fascicolo, op. 30
Felix Mendelssohn Bartholdy
Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847
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Chi non si è mai messo qualche volta al pianoforte all’ora del crepuscolo (un pianoforte a coda sarebbe troppo di gala) e in mezzo al suo fantasticare non ha cantato senza avvedersene qualche leggera melodia? Se allora si può unire, a caso, con le sole mani, l’accompagnamento alla melodia e, soprattutto, se si è un Mendelssohn, si compongono le più belle romanze senza parole.
La cosa sarebbe ancora più facile se si componesse apposta il testo, si cancellassero le parole e così si rendesse pubblica l’opera; ma ciò non andrebbe bene, perché sarebbe quasi una specie d’inganno – si dovrebbe su questo fare una prova della chiarezza del sentimento musicale e indurre il poeta, di cui si taccion le parole, a sostituire un nuovo testo alla composizione della sua romanza. Se in questo caso il nuovo coincidesse col vecchio, sarebbe una prova di più per la sicurezza dell’espressione musicale.
La cosa sarebbe ancora più facile se si componesse apposta il testo, si cancellassero le parole e così si rendesse pubblica l’opera; ma ciò non andrebbe bene, perché sarebbe quasi una specie d’inganno – si dovrebbe su questo fare una prova della chiarezza del sentimento musicale e indurre il poeta, di cui si taccion le parole, a sostituire un nuovo testo alla composizione della sua romanza. Se in questo caso il nuovo coincidesse col vecchio, sarebbe una prova di più per la sicurezza dell’espressione musicale.
Ma torniamo alle nostre romanze! Esse ci guardano limpide come la luce del sole. La prima eguaglia in chiarezza e bellezza di sentimento quella in do maggiore del primo fascicolo, poiché lì zampilla più vicina alla prima sorgente. Florestano diceva: «Chi ha cantato una cosa simile deve ancora attendersi una vita lunga, tanto in quella terrestre come in quella d’oltretomba; è la mia preferita, credo». Con la seconda mi viene in mente la canzone di caccia di Goethe: «Im Felde schleich’ ich still und wild, gespannt mein Feuerrohr [me ne vado per la campagna, silenzioso e selvaggio, col mio fucile spianato]»; in delicatezza e in vaporosità raggiunge quella del poeta. La terza mi sembra meno importante, e quasi un ritornello in una scena domestica di La Fontaine; è tuttavia un vino schiettamente naturale quello che fa il giro della tavola, se non proprio il più forte e il più raro. Trovo la quarta romanza molto gentile, un po’ triste e ripiegata in se stessa; ma esprime in fondo speranza e patria. Nell’edizione francese in tutti i pezzi, ma specialmente in questo, si trovano importanti varianti da quella tedesca, che non mi sembrano appartenere tutte a Mendelssohn. La romanza che segue ha nel suo carattere qualcosa di indeciso, persino nella forma e nel ritmo e produce un effetto di tal genere. L’ultima, una barcarola veneziana, conclude il fascicolo con morbidezza e con dolcezza.
Robert Schumann
Zwickau, 1810 – Bonn, 1856
(Foto: martin-missfeldt.com)
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Rallegratevi ancora una volta del dono di questo nobile spirito!
(Robert Schumann, La musica romantica, a cura di Luigi Ronga, Einaudi Editore, Torino 1970, pp. 57-58)
Adriana Benignetti