Ai
giovani che decidono di intraprendere questa professione consiglio di crederci
fortemente e di non lasciarsi mai abbattere perché prima o poi l’occasione
giusta arriva. Non esiste una ricetta valida per tutti perché l’andamento di
una carriera varia da persona a persona e dipende da tante componenti, anche esterne.
Se dovessi, però, indicare gli ingredienti essenziali li riassumerei così:
passione, studio, costanza, determinazione, esperienza e umiltà
Annalisa Stroppa nei panni di Suzuki,
Teatro alla Scala 2016
(Foto di Marco Brescia & Rudy Amisano)
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«Ritornare
sul palcoscenico del Teatro alla Scala per l’inaugurazione della stagione mi
rende molto emozionata: è una sensazione indescrivibile, di quelle che
si ricordano per tutta la vita. Sono profondamente grata a coloro che mi
hanno scelta e al Maestro Chailly per avermi dato questa grande opportunità.
Essere diretta da lui è un privilegio. Sto affrontando quest’impegno con molta
serietà, rispetto e responsabilità ma anche con grande entusiasmo. Vivo
appieno questa meravigliosa occasione artistica facendo tesoro del lavoro di
ogni giorno. Il periodo di prove è stato molto impegnativo ma ora ci siamo
quasi: la Prima è vicina! Poter lavorare con il Maestro Riccardo Chailly e con
il regista Alvis Hermanis è per me un grande onore: attraverso la loro lettura
attenta e approfondita il mio personaggio ha preso forma musicalmente e
drammaturgicamente e si è arricchito di spessore e sentimento. Inoltre, ho
condiviso questo bellissimo periodo con degli ottimi colleghi con i quali si è
creata una reciproca intesa e una bella armonia».
(Foto di Silvia Lelli) |
«Suzuki è
un personaggio umanamente presente e molto positivo, tenero e
contraddistinto da una grande sensibilità, è l'unica persona che
comprende veramente Butterfly e le sta
accanto fino alla fine. Sono proprio questi gli aspetti
del personaggio che cerco di sottolineare e valorizzare: amo la sua
empatia e la sua grande sensibilità. Suzuki, con la sua presenza discreta, vuol
proteggere Butterfly, cercando di non urtare la sua fragilità, restandole
sempre accanto con grande affetto e partecipando profondamente al suo dolore e
alla sua sofferenza. Inevitabilmente sul palcoscenico faccio mie
queste emozioni ed entro talmente nel personaggio da commuovermi sempre. Impossibile,
del resto, non essere colpiti di fronte a un capolavoro di cotanta bellezza e
profonda umanità. Tocca a una a una tutte le corde dell’anima!»
Suzuki, Parigi (© C. Leiber - OnP) |
Annalisa Stroppa aveva
debuttato il ruolo di Suzuki, un anno fa: «Ho debuttato Suzuki la scorsa
stagione all'Opéra Bastille di Parigi nella versione tradizionale dell’opera
mentre qui a Milano metteremo in scena la prima versione del 1904. Questo
implica alcune differenze: vedremo personaggi non presenti nella versione in
tre atti e scene aggiuntive che poi sono state riviste e modificate da Puccini
stesso. Preferisco, però, non anticipare altri particolari».
Non resta, dunque, che
attendere il 7 dicembre! Nel frattempo, approfitto dell’occasione per
ripercorrere con Annalisa Stroppa le tappe di una carriera straordinaria, ricca
di emozioni, entusiasmo, impegno e sacrifici.
Un
momento importante della tua carriera è stato il debutto a Salisburgo nel ruolo
di Cherubino ne I due Figaro di Mercadante. «Serbo un bellissimo
ricordo di quell’esperienza: è stato il mio primo debutto internazionale in un
ruolo importante, in un teatro importante e con un maestro d’eccezione, Riccardo
Muti. In quel contesto ho imparato davvero moltissimo»
C’è
qualche altro momento della tua carriera che ricordi con particolare emozione? Si, la prima volta che
ho visto i miei genitori seduti in platea ad ascoltarmi. È emozionante averli
li con me a condividere la mia gioia perché è una conquista che abbiamo fatto
insieme.
Quale repertorio ami di più, senti più congeniale a te? In questo momento mi trovo a mio agio nei ruoli del belcanto e nel repertorio francese. Ho interpretato soprattutto Mozart, Rossini, Bellini, Bizet e Berlioz. Questi autori finora hanno plasmato la mia voce. Naturalmente la voce evolve nel tempo, con l'età; non cantiamo solo con le corde vocali ma con tutto il corpo e quindi la maturazione fisica ci porta anche a un’evoluzione vocale nel corso del tempo. Vedremo il futuro in che direzione mi porterà.
C’è
un ruolo che ami particolarmente? È difficile scegliere, ma se dovessi citarne
alcuni in questo momento direi quattro personaggi molto diversi tra loro ma nei
quelli posso esprimere parti di me sia dal punto di vista vocale che
interpretativo: Rosina, Adalgisa, Romeo
e Carmen.
C’è
un ruolo che non hai ancora interpretato e che ameresti debuttare? Mi piacerebbe interpretare Leonora ne
La Favorita e Charlotte nel Werther.
Prima
di entrare in scena c’è più adrenalina o paura? Tanta adrenalina ed emozione!
Come
si svolge una tua giornata “tipica” quando non sei in tournée? Quando non sono
impegnata nelle produzioni devo studiare e prepararmi per i ruoli che dovrò
eseguire subito dopo: ne approfitto per trascorrere il tempo con le persone a
me care e riposare.
E
quando, invece, sei impegnata in una produzione? Quando sei impegnato in una produzione
i ritmi della giornata non li puoi decidere tu, sono scanditi dalle prove e il
tempo libero, purtroppo, non è molto. Nei giorni di pausa cerco, comunque, di
godere delle bellezze della città in cui mi trovo!
Quante
ore al giorno dedichi allo studio? In generale dedico molto tempo allo studio. Questo
non significa solo cantare in voce per ore ma anche pensare, riflettere,
approfondire la conoscenza di uno spartito, leggere il libretto, la novella a
cui si ispira, documentarsi sull’idea che il compositore aveva quando ha
scritto l’opera, sul contesto storico: cercare, insomma, la maggior parte di
informazioni possibili per addentrarsi nel personaggio per poterlo interpretare nella maniera più scrupolosa e personale possibile. Per
quanto riguarda le ore di studio vocale, cerco di fare vocalizzi ogni giorno;
infatti, noi siamo “atleti” e come tutti i muscoli anche le corde vocali vanno
allenate. Quando preparo un ruolo o lo riprendo dopo tanto tempo il ruolo va, come
si dice, “messo in gola” con precisione, nota per nota in ogni passaggio per
trovare la modalità più confortevole per affrontarlo. Non saprei quantificare
esattamente, dipende: sappiamo, però, che la voce ha anche bisogno di riposo e
dopo periodi di grande lavoro è importantissimo anche il riposo e il silenzio. I
grandi interpreti del passato attendevano mesi prima di passare da un ruolo
all’altro e questo era molto salutare per la voce. Bisognerebbe far tesoro di
questi esempi anche se al giorno d’oggi i ritmi di lavoro spesso purtroppo non
lo permettono. Bisogna prendersi cura della propria voce.
Il
tuo approccio alla musica è avvenuto grazie al pianoforte. Come mai? Quanto e
in che modo ti è tornato utile lo studio del pianoforte? Come ti sei
avvicinata, invece, al canto? La passione per il canto lirico è nata fin da
bambina. Nonostante in famiglia non ci fossero altri musicisti o cantanti, la
musica, di ogni tipo, accompagnava le mie giornate sin da piccola. Ho iniziato
ad avvicinarmi alla lirica grazie ai miei nonni materni con i quali trascorrevo
gran parte dei pomeriggi dopo la scuola: loro ascoltavano i tre tenori,
Pavarotti, Domingo, Carreras e Mario del Monaco. (Ebbene si, tutti tenori!) Grazie
a loro, ho iniziato a scoprire le grandi arie d'opera e cercavo di imitare i
cantanti. Ho scoperto, così, di avere una voce importante, che aveva anche la
mia nonna paterna, la quale tuttavia non ha mai potuto coltivare il suo
talento; da qui sono nate la passione e la volontà di cantare. Avevo già le
idee chiare: da grande avrei voluto fare la cantante! Ricordo
che all'età di 8-9 anni cantavo "Nessun dorma", “O sole mio",
"Parlami d'amore Mariù", "Un amore così grande", durante i
banchetti di famiglia. Scoprivo che la natura era stata generosa con me e mi
aveva donato una voce speciale, trovavo dentro di me un tesoro che, però, non
dovevo rovinare ma imparare a utilizzare nel migliore dei modi. Mi venne detto
che per studiare canto era ancora troppo presto, la voce non era ancora
completamente mutata. Ho iniziato, quindi, a studiare la musica;
successivamente sono stata ammessa nella classe di pianoforte in Conservatorio
e nel contempo ho frequentato anche il Liceo Socio Psico Pedagogico. Verso i 20
anni la voce era finalmente pronta e matura per affrontare lo studio del canto;
inoltre, avevo alle spalle una buona base musicale sulla quale appoggiarmi. Iniziai
così a studiare canto, sempre al Conservatorio di Brescia: contemporaneamente
preparavo gli esami in Università e nello stesso tempo, avendo ottenuto
l’abilitazione, insegnavo part-time in una scuola primaria. Quando ci ripenso
non so come ho fatto, credo sia stata una grande forza di volontà a darmi
l'energia per affrontare tutto. Ho sempre avuto l'esempio nella mia famiglia
del lavoro e del sacrificio per conquistare ciò che si desidera e con questo
esempio sono crescita. Nonostante la fatica amavo tutto ciò che facevo,
l'insegnamento ai bambini, i miei studi all'università e soprattutto cantare.
Ti
sei laureata anche in Scienze dell’Educazione: perché mai hai deciso di
intraprendere questa facoltà? Ho deciso di intraprendere gli studi
Universitari in Scienze dell’Educazione perché mi è sempre piaciuto lavorare
nel sociale: se non avessi avuto la fortuna di fare la cantante avrei scelto la
strada dell’insegnamento oppure avrei fatto l’educatrice, a contatto con persone
diversamente abili. Avrei potuto lavorare come educatrice sociale in diversi
contesti: ospedali, case di riposo, strutture per disabili o carceri. La mia
tesi di laurea si intitolava “Bambini senza sbarre”: con l’appoggio del mio
meraviglioso relatore in Università ho affrontato il tema dei bambini reclusi
da 0 a 3 anni che vivono nella sezione del carcere con la madre detenuta e
delle inevitabili carenze nel loro sviluppo. Avevo fatto uno studio
frequentando la sezione nido del carcere San Vittore proprio qui a Milano: un’esperienza
meravigliosa che mi ha arricchita moltissimo. A volte non possiamo nemmeno
immaginare quali realtà ci siano perché sono lontane da noi. Fortunatamente
negli anni la situazione di questi bambini è un po’ migliorata.
Quando
hai capito che il canto sarebbe diventato la tua “vita”?Quando ho iniziato ad ottenere i primi
risultati e ad avere i primi riscontri positivi.
C’è
stata qualche figura di riferimento particolarmente importante nel tuo
percorso? Assolutamente si: innanzi tutto, la mia
insegnante e poi tutte le persone che incontro ogni volta nelle produzioni. Cerco
sempre di “attingere” da direttori, registi e colleghi tutto ciò che di
positivo posso portare con me e che mi possa arricchire sia umanamente che
professionalmente.
Hai
vinto diversi concorsi internazionali: quanto ritieni importanti i concorsi in
un percorso musicale? Li ritengo importanti ma bisogna parteciparvi
con lo spirito giusto e non lasciarsi abbattere se non vanno come avremmo
sperato: sono occasioni per ognuno di misurarsi con se stessi e con le proprie
capacità e rappresentano anche un momento di incontro, di apertura e di confronto
positivo con altri giovani cantanti. Ho partecipato ai concorsi già durante gli
ultimi anni del Conservatorio, nazionali prima del diploma e internazionali
subito dopo. Partecipavo ai concorsi per misurare le mie potenzialità e vedere
se veramente quella del canto sarebbe potuta essere la mia strada e avrei
potuto intraprendere questa carriera, perché si sa che,
soprattutto al giorno d'oggi, è molto difficile. Inoltre, in occasione dei
concorsi ho avuto la possibilità di farmi ascoltare da grandi cantanti e da
direttori artistici che costituivano le giurie. Vedendo che i primi concorsi
andavano bene e ottenevo sempre dei buoni risultati, ricevevo quelle conferme
che cercavo e che mi davano l'input per crederci davvero e proseguire in questa
strada. Ho iniziato a eseguire recital di canto da camera, poi piccoli ruoli d'opera
e via via ruoli sempre più importanti in contesti sempre più grandi.
Che
consigli daresti a chi decide di intraprendere questa professione? Ai giovani che decidono di intraprendere
questa professione consiglio di crederci fortemente e di non lasciarsi mai
abbattere perché prima o poi l’occasione giusta arriva. Non esiste una ricetta valida
per tutti perché l’andamento di una carriera varia da persona a persona e
dipende da tante componenti, anche esterne. Se dovessi, però, indicare gli
ingredienti essenziali li riassumerei così: passione, studio, costanza, determinazione,
esperienza e umiltà. Innanzi tutto la passione che è il motore, è ciò che ti
motiva e ti dà l’energia e l’entusiasmo necessari per cantare. Guai se non ci
fosse! Tutto si ridurrebbe a un semplice lavoro. Nel canto non possono mancare
le emozioni e per trasmetterle agli altri bisogna prima emozionare se stessi ed
essere consapevoli che ogni volta che si sale sul palcoscenico è un momento
speciale. Mi ritengo molto fortunata: il mio non è un semplice lavoro ma coincide
anche con la mia passione. È questo che rende speciale ogni nota che canto. Un altro
ingrediente fondamentale è una buona preparazione di base perché, per costruire
un percorso solido, bisogna prima di tutto essere preparati, aver studiato,
conoscere bene il linguaggio musicale e conoscere il proprio strumento in modo
approfondito: non si finisce mai di studiare. Oltre a una buona dose di
fortuna, ci vuole molta costanza e determinazione e bisogna credere fortemente
in sé stessi senza abbattersi di fronte alle difficoltà che s’incontrano. Infine,
penso sia fondamentale fare tesoro di ogni esperienza che si fa in
palcoscenico: in scena capisci molte cose, prende forma il personaggio che
interpreti e impari a dosare le tue forze, le tue energie. È un continuo
misurarsi con se stessi, con i propri limiti e le proprie possibilità. Forse il
segreto è proprio questo: essere umili e non sentirsi mai arrivati.
Adriana Benignetti