Lunedì 9 maggio alle ore 21.00, il pianista sarà protagonista, al
Conservatorio “G. Verdi” di Milano, di un concerto per la Stagione
Concertistica di “Serate Musicali”
«Scoperto»
e «proposto» da sempre da «Serate Musicali», che lo ospita per la ventottesima
volta, il pianista Andrea Bacchetti sarà il protagonista del
prossimo appuntamento della Stagione Concertistica 2015/2016 della storica
associazione musicale, in programma lunedì 9 maggio alle ore 21.00,
presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Durante il concerto, Bacchetti eseguirà
musiche di Bach e Mozart.
Sala
Verdi del Conservatorio di Milano,
via
Conservatorio 12, Milano
Lunedì 9 maggio 2016 ore 21.00
«SERIE FESTIVAL OMAGGIO A MILANO» 2016
Pianista Andrea Bacchetti
JOHANN
SEBASTIAN BACH (1685-1750)
SUITE INGLESE N.
5 IN MI MINORE BWV 810
Prélude; Allemande; Courante; Sarabande; Passepied I en
rondeau; Passepied II; Gigue
SUITE FRANCESE
N. 5 IN SOL MAGGIORE BWV 816
Allemanda;
Corrente; Sarabanda; Gavotta; Bourrée, Loure; Giga
SUITE INGLESE N.
2 IN LA MINORE BWV 807
Prélude; Allemande; Courante; Sarabande; Bourrée I;
Bourrée II; Gigue
SUITE FRANCESE
N. 2 IN DO MINORE BWV 813
Allemande ; Corrente ; Sarabande ; Air ; Menuett ; Gigue
SUITE FRANCESE
N. 1 IN RE MINORE BWV 812
Allemande; Courante; Sarabande; Menuett I; Menuett II ;
Gigue
CONCERTO IN FA
MAGGIORE BWV 971 «IN STILE ITALIANO»
Andante;
Presto
WOLFGANG
AMADEUS MOZART (1756-1791)
FANTASIA IN RE
MINORE K397
Andante;
Adagio; Presto; Tempo primo; Allegretto
RONDÒ IN RE
MAGGIORE K 485
Rondò.
Allegro
SONATA IN SI
BEMOLLE MAGGIORE “PARIGINA N. 5”
Allegro;
Andante cantabile; Allegretto grazioso
Biglietti: Intero € 20,00 Ridotto € 15,00
Il
programma della serata (tratto dal libretto di sala)
JOHANN SEBASTIAN BACH
Le Suites cosiddette «Inglesi»
Queste sei Suites furono certamente scritte durante il
soggiorno di Bach a Cöthen, vale a dire in quel periodo 1717-1723 che vide la
felice nascita di una cospicua parte della produzione strumentale del Maestro.
La qualifica di «Inglesi» non è originale di Bach, ma una tradizione – non
appoggiata tuttavia da nessun documento – pretende che queste Suites furono
così intitolate perché Bach le avrebbe composte per incarico di un signore
britannico. La forma differisce da quella delle Suites cosiddette
«Francesi» per la presenza – in ognuna di esse – di un Preludio di vaste
proporzioni che precede l'Allemande e inaugura maestosamente l'opera.
Solo la prima Suite (in la maggiore) sembra - per il suo stile meno
elaborato e impegnativo - appartenere a un periodo anteriore, forse a quello di
Weimar (1709-17). Il linguaggio che parla Bach in questi sei capolavori non e
più quello fortemente influenzato del manierismo delle leggiadre Suites cosiddette
Francesi, ma e invece quello orgoglioso della sua piena e totale personalità,
linguaggio che fa di queste sei Suites, uno fra i più compiuti e nobili
esempi della maggiore arte cembalistica bachiana.
Suite Inglese n. 5 in mi minore BWV 810
Il Preludio è un autentico monumento, su ben
centocinquantasei misure di stile fugato. È l'organo, con la sua maestà, che
viene in mente. Il Tema è un autentico tema di fuga: qualcuno vorrebbe essere
questa un Tema del grande Buxtehude (in ritmo binario, qui trasferito al
6/8). L’Allemande, intensa e solenne, forse ancor più nella seconda
parte e ricca di stile imitativo. La Courante è di minore complessità di
ritmi a fronte delle altre Correnti delle «Inglesi»; in compenso ha una
scrittura armonica ricercata e squisita. La Sarabanda: semplice può
apparirvi il Tema, ma non mancano qui le emozioni; la chiameremo Sarabanda
«armonica», financo a quattro parti. Procedono qui le varie parti alla
terza, alla sesta, o per moto contrario. Passepied en Rondeau et Passepied
II sono di grande influenza francese. La leggerezza è qui di un Couperin,
col ritorno regolare del Rondeau, col passaggio dal «minore» al
«maggiore» nel II Passepied e il ritorno «Da capo» al primo Passepied.
La Gigue è una pagina inquieta e tormentata: è l'inversione del Tema che
apre la seconda parte, secondo l'abitudine nota del nostro Bach.
Suite Inglese n. 2 in la minore BWV 807
Il Preludio che apre la Suite è scritto in una netta
forma ternaria (un po' come il primo movimento del Concerto Italiano) e
si basa su un tema che ha qualcosa dello stile ritmico e melodico del Concerto
e della articolazione dello strumento ad arco; in più punti, all'interno della
composizione, le peculiarità clavicembalistiche assumono invece l'aspetto di
virtuosistiche cadenze. Dopo l'impeto iniziale, l'Allemanda si introduce
con l'eleganza di sobrie linee imitative; imitazioni che, appena accennate,
ricorrono anche nella scorrevole Corrente. La Sarabanda, quasi
cuore del lavoro, ha per tema principale un disegno discendente che in Bach ha
celebri congiunti (ad esempio, l'Aria Es ist vollbracht della Passione
secondo Giovanni). la Sarabanda viene subito ripetuta «variata»,
cioè arricchita di ornamentazioni che, secondo una via nota nel Settecento solo
a Bach, non disturbano ma accrescono le facoltà espressive della pagina. La Bourrée
I è un celebre brano di vitalistico slancio, nel cui inciso d'apertura si
riflette la proterva allegria di un passo del Secondo Concerto
Brandeburghese. Come spesso in queste danze «alternate» la Bourrée II è
vicina al carattere della Musette per la presenza di note a lungo
tenute; al termine di essa si ripete la Bourrée I. La Giga, a una
rilettura attenta rivela una natura inventiva certo meno ricca dei pezzi
precedenti, ma all'ascolto la sua continuità ritmica assicura tuttavia la degna
conclusione dell'opera.
Le Suites cosiddette «Francesi»
Bach, vedovo trentaseienne, si risposò il 3.12.1721. Fu Anna
Magdalena Wilke (o Wülke, o Wülken), che aveva trovato impiego come cantante
alla corte di Cöthen, la fortunata. Le «Francesi» risalirebbero a quella prima
(o seconda) felicità coniugale. A lei dedica il primo KlavierBüchlein (1722),
che reca le prime 5 «Francesi». Anche nel noto e più grande KlavierBüchlein
(1725), troviamo la prima e parte della seconda. In altro manoscritto,
proprietà del figlio Friedemann, troviamo le prime 4 Suites. Bach non scrisse
«francesi», ma solo «Suite pour le clavecin». La loro aurea semplicità (spesso
levità), rinuncia a quei pezzi da battaglia che aprono le «Inglesi» e spesso
fanno la felicità (geniale) della vera Hausmusik. La Quinta e la Sesta sono
probabilmente posteriori e rappresentano un passo avanti rispetto alle altre.
Anche all'interno delle Suites, il piano di costruzione subì modifiche.
L’ordine finale non è di Bach ma dell'allievo H. N. Gerber, da copia forse
corretta da Bach stesso. Come s'è visto, Bach giunse tardi (relativamente) ai
piaceri e alle consolazioni delle Suites, forse anti-eroiche e borghesi, ma poi
didatticamente meritorie. Anche le «Francesi», seguirono a studi e tentativi.
Ma breve fu l'arco degli anni dedicati alle Suites: forse dieci (1720-30),
togliendo l'Ouverture francese ('35), forse cinque, se le Partite fossero già
concluse nel '25.
Suite francese n. 5 in sol maggiore BWV 816
Subito emozionante, l'Allemanda a tre voci, capolavoro
di polifonia, che collega l'arte dell'improvvisare, al tipo della sottile e
spirituale condotta delle parti. La Corrente, a due voci, nello stile
italiano, spiritosa e gioconda, pur nella sua felicità, è la sola che potrebbe
eventualmente essere un po' meno d'un capolavoro. La Sarabanda è ben
degna d'un Couperin o d'un Rameau. La Gavotta è la perla tra le Gavotte, di
chiarezza e di grazia supreme: scolpita, disegnata, dipinta. Divina la Bourrée,
malinconica e lieta al tempo stesso, che porta l'eco dell'Allemanda e
sembra volerla superare. E un soffio divino è nella Loure, (l'incipit
sembra l'eco della ripresa della Bourrée), in ritmo lentamente puntato
che, «cantando», va trasfigurando la grazia d'un cerimoniale antico, che tiene
il posto del Minuetto e si rifà al Doux Pays, che è la vecchia
Francia. Apre la Giga, fugata, in tessitura di soprano (due e tre voci),
che somiglia a una tarantella, ma non solo questo: come nessuna, conosce l'eleganza
e l'ironia, è la perla tra le sei Gighe. L'esecutore intelligente e sottile vi
può rivelare (o inventare) ritmi lievi o pungenti, puntati o piani e mille «non
legati». Ma volubili sempre e cangianti! E non desunti mai da «un solo»
strumento. E senza mai fare mancare la «sorpresa» – come ci diceva Richter.
Suite Francese n. 2 in do minore BWV 813
Meno chiaro è qui il nesso tematico tra le varie Danze,
rispetto alla precedente Suite. L'Allemanda, a tre voci, s'impone anche
per la grande varietà ritmica. La Corrente, italiana, richiama il
secondo dei sei Piccoli Preludi. A due voci, ha una terza voce,
d'integrazione armonica per poche battute. La Sarabanda somiglia a
un'aria ornata, sostenuta da un basso a due voci. L'Air, la cui seconda
parte è tre volte la prima, è istrumentale (cioè «negativa» rispetto al nome
che porta), potrebbe tuttavia essere cantata a due voci. Al Minuetto segue,
in qualche edizione, un secondo Minuetto o Trio. La Giga,
francese, è di ritmo puntato o saltellante. È a due voci («Vivacissima», come
si suppone).
Suite Francese n. 1 in re minore BWV 812
Nella I Suite si può osservare un inconfondibile nesso
tematico tra le Danze, in ispecie tra prima e ultima (Allemanda e Giga).
La Corrente è francese, a tre voci. Inusuale la Sarabanda, a quattro
voci: di carattere quasi religioso. Il secondo Minuetto, quasi doppio di
dimensioni rispetto al primo, non può ridursi a «Trio» di questo. Due Minuetti
dunque, come due Correnti nella prima «Inglese»! La Giga richiamerebbe
il carattere delle Gighe del liutista francese Gautier. Questa Giga, in
4/4, a ritmo puntato, è d'insolita gravità e somiglia ben poco al movimento
tanto vivo e lieto che conclude solitamente le Suites.
Concerto in fa maggiore BWV 971 «In stile italiano»
Anche la composizione del Concerto secondo lo stile
italiano BWV 971 si riallaccia al periodo trascorso a Cöthen, quando
l'interesse di Bach era volto quasi esclusivamente alla musica strumentale. La
scrittura di questa pagina, come anche quella dell'Ouverture francese, indica
chiaramente che le due opere furono concepite per un clavicembalo a due
manuali, indispensabile per ottenere gli effetti di piano e forte che imitano
sapientemente le contrapposizioni “tutti-solo” proprie del Concerto
grosso italiano. Il contrasto è straordinario: da un lato l'agilità, la
snellezza, la brillantezza degli «episodi solistici» nel piano (II manuale),
dall'altra la forza, la robustezza e la potente sonorità del tutti nel forte (I
manuale). Anche dal punto di vista strutturale, naturalmente, il Concerto
italiano è concepito secondo la forma-ritornello tipica del Concerto
vivaldiano: un motivo principale esposto dal tutti, detto appunto ritornello,
si alterna a episodi contrastanti affidati al solista. Il tema del ritornello dell'Allegro
iniziale è regolare e simmetrico: quattro battute di proposta alla tonica
cui rispondono quattro battute di controproposta alla dominante. Le successive
sezioni sono ben delineate e separate fra loro da perentorie cadenze: il
ritorno ciclico del ritornello in diverse tonalità, è intercalato da tre
episodi in cui spicca la linea melodica della mano destra sostenuta dalle
scivolanti armonie della sinistra. L'attacco dell'Andante, scritto in
forma bipartita, è decisamente di sapore vivaldiano, a ulteriore conferma del
modello assunto da Bach per questa composizione: un'unica, lunghissima, linea
di canto (l'analogia col concerto barocco farebbe qui pensare a un violino
solista) si snoda sinuosa dall'inizio alla fine sopra un basso ritmicamente
regolare ma in continua e inquieta evoluzione armonica, quasi una specie di
orchestra con sordina. Anche il travolgente Presto conclusivo è scritto
in forma di ritornello, con un motivo principale ascendente pieno di vita e di
verve ritmica riproposto su diversi piani tonali e alternato a vivacissimi
episodi «solistici»; il tutto senza soluzione di continuità, in un discorso
musicale fluido e ritmicamente serrato.
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Fantasia in re minore K 397
La composizione della Fantasia in re minore per pianoforte
solo va collocata tra gennaio e dicembre del 1782, anche se il manoscritto
originale del pezzo è andato perduto e di esso non c’è alcun riferimento negli
scritti e nella corrispondenza dell’autore. Secondo gli studiosi mozartiani la Fantasia
risente, almeno dal punto di vista formale, dell’influenza di Philipp
Emanuel Bach e di Haendel, che avevano trattato più volte questo tipo di
composizione un po’ rapsodica e senza gli schemi prestabiliti. Infatti il brano
rientra nel genere delle improvvisazioni, realizzate dal musicista
salisburghese nel corso dei suoi innumerevoli concerti pianistici, dove si
dispiegavano congiuntamente l’estro inventivo e il talento virtuosistico
dell'artista. L’Andante iniziale è immerso in un clima sospeso e sembra
svolgersi senza un tema preciso, quasi a preparare meglio il clima espressivo
dell’Adagio, così intimamente cantabile nel suo recitativo patetico,
seguito da un ritornello vivace e brillante, fatto di modulazioni morbide e
delicate. Ritorna quindi la frase dell’Adagio in la minore, nucleo
centrale del pezzo, dove si respira un sentimento di malinconica poesia da
Lied. Con il tema dell’Allegretto (un Rondò in re maggiore) muta
l’atmosfera psicologica e tutto diventa più lieto e gioioso, in una varietà di
brevi punteggiature ritmiche e timbriche che appartengono alla fantasia
creatrice mozartiana. Certamente il brano è estremamente conciso (poco più di
sei minuti di musica) e non offre spazio a un’analisi molto ampia e
dettagliata, ma è rivelatore del temperamento di inesauribile freschezza
pianistica di un autore che, anche nelle improvvisazioni, ha lasciato il segno
della sua genialità.
Rondò in re maggiore K 485
Poche notizie si hanno in genere sulla genesi dei molti brevi
brani pianistici del catalogo di Mozart, la cui nascita è legata a circostanze
che rimangono nell’ombra. È questo anche il caso del Rondò in re maggiore K.
485 che non venne inserito da Mozart nel proprio catalogo personale e la
cui datazione del 10 gennaio 1786 risulta dall’autografo. Si tratta di un Rondò
piuttosto articolato e brillante, basato, con poche deviazioni, sulle varie
fortune del capriccioso tema di base. Tuttavia il fine ricreativo è raggiunto
con il ricorso a una tecnica non particolarmente impegnativa, il che lascia
pensare che la pagina fosse destinata a qualche allieva o a qualche nobile
“dilettante”.
Sonata in si bemolle maggiore “Parigina n. 5”
La Sonata in si bemolle maggiore K. 333 rispecchia la
commedia sentimentale, rispecchia il teatro borghese di Gottfried Lessing con
la sua analisi dei sentimenti, razionalistica e insieme affettuosa. Il primo
tema del primo movimento è simile al tema d'inizio della Sonata op. 17 n. 4 di Johann
Christian Bach. E siccome Bach, che aveva paternamente accolto Mozart bambino a
Londra e che gli aveva impartito lezioni di composizione, era scomparso nel
1782, sembra probabile che Mozart intendesse rendere omaggio alla memoria di un
musicista che nella sua formazione aveva svolto un ruolo importante. Partendo
da Johann Christian, Mozart sviluppa però un'architettura articolatissima e
complessa, quale l'ultimo figlio di Bach non aveva mai tentato. Il secondo
movimento è in forma bitematica e tripartita, molto rara nei tempi lenti delle
Sonate e... molto insidiosa perché nella sezione centrale, lo
"sviluppo", Mozart si lascia attrarre dalle sirene del cromatismo. Il
13 agosto 1778 Leopold Mozart aveva raccomandato caldamente al figlio di
impegnarsi sul "naturale, di scrittura fluida e facile e ben
costruito", sostenendo che ciò era "più difficile di tutte le
progressioni armoniche artificiali, incomprensibili ai più, e più delle melodie
difficili da eseguire". Nel secondo movimento della Sonata K. 333 Mozart
striscia proprio sugli scogli che il suo vigile padre gli aveva consigliato di
evitare. Il tono leggero della commedia borghese ritorna nel finale, vasto Rondò
in sette episodi con inserita una sorprendente "Cadenza in
tempo" che occupa un buon 15% della composizione e che trasferisce
nella Sonata un elemento tipico del Concerto, il gioco della contaminazione
formale riesce a Mozart splendidamente. Ma anche questo particolare diventava
una fonte di disorientamento per il pubblico che aveva accolto con gioia le
Sonate K. 330, 331 e 332. Si trattava quindi di un ulteriore errore, di uno dei
tanti errori di
valutazione verso i quali il demone di Mozart – per nostra fortuna – guidò il
suo alunno.
Andrea Bacchetti ha esordito a 11 anni a Milano con i
Solisti Veneti diretti da Scimone. Negli anni ha incontrato e raccolto i
consigli di Karajan, Magaloff, Baumgartner e Horzowski. Con Berio ha studiato e
lavorato fin da quando era un bambino. Master all’Accademia di Imola con Franco
Scala, borse di studio (Mozarteum Salisburgo, Yamaha Music Foundation,
Londra, ecc.) gli hanno consentito di studiare con i migliori specialisti
della tastiera. Dal 1998 è ospite di “Serate Musicali” - Milano. Uno dei primi
concerti per “Serate” ha avuto luogo al Museo Teatrale della Scala come omaggio
a Luciano Berio (presente l’Autore). Le “Serate” gli hanno ufficialmente
affidato l’esecuzione dell’opera omnia di J.S. Bach (2001), ciclo quasi giunto
al termine. Ha suonato con più di 50 direttori e molte orchestre
internazionali; ha inciso più di 20 dischi che hanno ricevuto numerosi
riconoscimenti. Il recente CD “The Scarlatti Restored Manuscript” è
stato premiato con l’Award dall’ICMA 2014. Suoi concerti sono trasmessi da
RadioTre, BBC Radio3 (UK), Radio France, RSI (Svizzera), CBC Radio 3 (Canada),
ecc. Nella scorsa stagione ha partecipato al PMF di Sapporo (su invito
di Luisi), ha tenuto concerti dedicati a Berio nel ciclo “Bach Modern” del
CNDM presso l’Auditorio Nacional de Musica di Madrid e a Milano per MITO, oltre
a una tournèe in Belgio con la Russian Chamber Philharmonic St. Petersburg e
recitals per la 50° edizione dei Festivals Internazionali di Brescia e Bergamo
e Cervo. Ha partecipato al Festival Uto Ughi per Roma e alla Sagra
Musicale Malatestiana di Rimini. Nel 2014 è tornato in Giappone, ha
debuttato a Hong Kong e ha tenuto concerti in Germania, Spagna, Nuova Zelanda,
Australia e Italia. Nella stagione in corso sono previsti concerti in Spagna,
Messico, Corea, Polonia, Cina, Russia.
Adriana Benignetti