Giuseppe
Sinopoli
(Venezia,
2 novembre 1946 – Berlino, 20 aprile 2001)
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“L’Oro
del Reno”
Con
l’Oro del Reno inizia un progetto di
esecuzione della Tetralogia in forma
di concerto, senza le scene, senza la regia. È possibile eseguire Wagner così?
È
una domanda che implica la capacità, e io spero di poterla avere, di esprimere
in termini molto semplici il problema. Per dare una risposta seria, bisogna
mettere in gioco tre personaggi: Ludwig Feuerbach, Richard Wagner e sua moglie
Cosima.
I
Diari di Cosima riportano un’espressione
di Wagner in cui lui dice pressappoco così: sono stato responsabile dell’orchestra
invisibile e devo alla fine farmi responsabile anche di un teatro invisibile.
Verso
la fine della vita Wagner si riconciliava con la propria partenza, che è
fondamentalmente legata al pensiero di Ludwig Feuerbach, un filosofo tedesco
dell’idealismo di sinistra che aveva determinato le prime mosse non soltanto di
pensiero, ma anche di azione di Wagner. Un testo nel 1830 di Feuerbach, Riflessioni sulla morte e l’immortalità,
aveva molto influenzato Wagner e l’aveva anche portato, circa quindici anni
dopo, a concepire e a stendere un’opera, il Siegfriedstod.
La
Morte di Sigfrido, il primo testo
della Tetralogia a essere steso da
Wagner, si trasformerà poi nel Crepuscolo
degli dei, mentre un successivo lavoro, il Giovane Sigfrido, sarà destinato a diventare il Sigfrido che conosciamo. I testi della Morte di Sigfrido e del Giovane
Sigfrido precedono la stesura dei libretti dell’Oro del Reno e della Valchiria.
Il
problema, cercando di semplificare, era il problema dell’unità del tutto. Il
problema estetico era quello di staccarsi dal pensiero greco e di cercare delle
alternative; però il pensiero greco rimetteva alla base della bellezza il
concetto di rapporto fra natura e spirito. Possiamo dire il rapporto fra mondo
sensibile, quello che noi vediamo, e spirito, qualcosa che non si tocca e va al
di là della natura. Questo rapporto era diventato esplosione affermativa nelle
plastiche dell’arte greca, nei vasi greci o nella pittura figurativa; ma alla
fine la bellezza non era altro che l’unità: cercare di fare in modo che nel
sensibile si insinuasse il non sensibile e potesse viverci senza che il
sensibile scomparisse, facendo invece in modo che rimanesse. La convivenza del
sensibile e del non sensibile, sia nell’opera d’arte sia nella più grande
manifestazione di unione di sensibile e non sensibile che è il corpo, doveva
alla fine liberarsi in un momento in cui il non sensibile rimane da solo, come
accade nella morte. Nella morte c’è una sorte di liberazione dal sensibile
attraverso la scomparsa e c’è un’apparizione del non sensibile. Questo momento
esaltante della morte viene quindi recuperato come momento di esaltazione
universale. Tutto la problematica di Wagner deve essere analizzata da questo
punto di partenza.
Tornerò
su questo punto che è abbastanza complesso, e bello, e diventa facilmente
applicabile anche all’Oro del Reno,
che sembra poi un postulato di tutti questi principi. Ma per riandare al nostro
problema, cioè il senso della rappresentazione in forma di concerto, che va al
di là delle notizie occasionali e ha una sostanza molto profonda, dobbiamo
ricordare che Wagner segue per una gran parte della sua vita, e in ogni caso
per una gran parte della stesura del Ring,
le teorie di Feuerbach, a loro volta legate ad altri due concetti fondamentali
della tematica wagneriana: il Zerstörungsprinzip,
il principio di distruzione, e il Vergagenheitsprinzip,
il principio di transitorietà.
Il
primo è il bisogno di distruzione, che mette in azione il pensiero di Wagner a
Dresda, quando prende parte alle barricate socialiste, e poi viene esiliato e
condannato. Il problema del Zerstörungsprinzip,
rimanendo sempre a Feuerbach, era quello di distruggere radicalmente un’azione,
anche riflessa nel sociale, tutto ciò che spezza questa unità, questa
immobilità di sensibile e insensibile, di natura legata allo spirito. Un tutto
unitario che ha naturalmente anche ascendenza di tipo mistico, se la diversità
di ciascuna cosa nel mondo possono esser superate e conciliate. Cos’è che
supera tutte queste diversità, queste alterità, che fa sì che questi esseri
diversi l’uno dall’altro possano vivere in una forma di riconciliazione? Tutto
ciò è l’amore. Se l’amore supera tutte le alterità, e impedisce l’isolamento di
alcune individualità, ciò che invece determina una lacerazione dell’equilibrio
del tutto è l’egoismo, è l’amputazione, è il portare via qualcosa dal tutto.
E
qui ci siamo: è portare via l’oro dal Reno. Allora si capirà perché soltanto
colui che rinuncia all’more può prendere l’oro, perché colui che prende l’oro
automaticamente rompe quei legami di conciliazione che erano realizzati dall’amore.
È
una questione di essere o non essere. Nel momento in cui Alberich strappa l’oro
dal Reno, Wagner, con una bellissima immagine poetica inventata da lui – nella saga
dell’Edda, sia quella antica che quella nuova, non c’è questa immagine dell’oro
che nuota nel Reno –, ci fa vedere l’oro come l’occhio del padre Reno. A questo
punto la luce, passando attraverso le acque, bacia le palpebre di questo occhio
che si aprono, e così l’oro viene visto. Alberich, intervenendo sul tutto della
natura, sul pan, e strappando quest’occhio
dal corpo del Reno, crea un sovvertimento totale, una rottura dell’equilibrio
unitario, provoca l’isolamento, la formazione di quello che si può chiamare il
positivo. A questo punto avviene una rottura, l’amore non c’è più, è stato
negato ad Alberich e la natura è stata scomposta.
Soltanto
alla fine del lento processo dell’Anello
comparirà l’amore, e sarà un amore sublimante, perché questo amore procede
passo dopo passo, verso la morte volontaria di Brunilde, cioè la morte per
amore: e questo è anche il grande tempo del Tristano.
La
musica non era per Wagner soltanto un’occasione per scrivere delle note, ma era
un modo per porsi di fronte ai problemi dell’esistenza. La morte di Brunilde fa
sì che l’amore ricominci a ricostituire a un livello molto più alto, molto più
esaltante questa unità.
Dopo
queste promesse, ritorniamo alla domanda: perché l’eliminazione della scena?
Eliminare la scena, nel momento in cui lo ha pensato, voleva dire per Wagner
riconciliarsi con il principio iniziale di Feuerbach, cioè quello della
separazione, nell’estremo momento della bellezza, del sensibile – quindi della
scena – da ciò che non era sensibile, dallo spirito che vagheggiava in questo
sensibile, dalla musica. Mentre si riconciliava con le sue matrici iniziali che
erano legate a Feuerbach, allo stesso tempo Wagner si univa, in quella che è
apparentemente una contraddizione, con il mondo del pensiero di Schopenhauer.
Perché per Schopenhauer la musica non era altro che l’apparizione in uno stato
ipnotico, di sogno, del mondo del non sensibile senza alcun condizionamento del
mondo sensibile. La musica era la salvezza. Liberarsi il più possibile di tutto
ciò che è materiale, che è sensibile, per lasciare soltanto questo elemento
liberato dal sensibile che è la musica, riconciliava Wagner anche con Schopenhauer.
Eseguire
in forma di concerto un’opera di Wagner non è semplicemente una faccenda di
risparmio, ha radici molto più profonde e più precise, sino ad arrivare a un
altro estremo, in cui Wagner parla di un progetto che apparentemente può
sembrare forsennato, ma che io trovo esaltante, perché fa capire benissimo lo
spirito di Wagner sulle barricate di Dresda.
È
il progetto di mettere in scena il Siegfriedstod,
la morte di Sigfrido. Lui diceva: «Il progetto è fare una scena tutta in legno,
dare tre rappresentazione e dopo la terza bruciare tutte le scene e anche la
partitura. Se qualcuno mi dovesse chiedere perché è un peccato, io gli
risponderei: “jetzt bist du dran”, cioè: adesso tocca a te».
Era
un momento in cui veramente si cercava di cambiare il mondo. Ci sono stati dei
momenti nella storia di questi ultimi due secoli in cui si è tanto di cambiare
il mondo e sono stati soprattutto i giovani che hanno tentato di cambiarlo,
perché il tentativo di cambiare tutto è uno degli elementi meravigliosi della
giovinezza, ma questo porterebbe molto lontano da Wagner.
L’idea
di “bruciare tutto” era legata al concetto di transitorietà, per cui “tutto
passa”: è la Vergangenheit, perché proprio
nel momento del trapasso, della morte si realizzano l’esaltazione e il
passaggio al di fuori del sensibile di ciò che è all’interno del sensibile. È la
distruzione di tutto perché la bellezza è legata soltanto al tempo e allo
spazio, non è assolutamente legata all’eternità. Qui ritorna tutta la polemica
col Cristianesimo iniziata da Feuerbach e poi proseguita da Wagner quando era
feuerbachiano. Poi verranno il tentativo di sistemazione di Schopenhauer e la
definitiva eliminazione di Nietzsche.
Vorrei
ora soffermarmi sull’aspetto epico del Ring.
Nella Tetralogia, più che vedere
azioni, si racconta molto: l’aspetto epico è una manifestazione “tecnica” di
due esigenze molto forti che stanno alla base dell’epos, che è poi legato al mythos,
che significa racconto. C’è la componente del mito che possiamo sintetizzare
come necessità di raccontare qualcosa perché bisogna che quelli che vengono
dopo sappiano, cioè bisogna far sapere che un problema è stato posto e poi gli
è stata data una risposta. Tutti i miti sono una risposta a questa necessità di
passare a chi veniva dopo la fiaccola di un problema stringente, fondamentale,
che diventava tragedia, ma che doveva essere ricordato ed esorcizzato, cioè
ripetuto, ritualizzato: ed ecco la componente del teatro, e per i tedeschi il
teatro e la musica non erano un’occasione solo di divertimento, come per i
francesi o gli inglesi. Erano qualcosa, come scrive Nietzsche, che va al Tief, al profondo di tutti i problemi
dell’esistenza.
La
scelta di Wagner del racconto, del ritorno e della ripetizione, è qualcosa che
riguarda da vicino il rituale, è una forma litanica: le cose vanno ripetute,
bisogna entrare nella situazione in cui il mythos,
continuamente rievocato, diventa una forma liturgica. Bisogna ora pensare alla
visualizzazione di quei labirinti che sono i famosi Leitmotiv. Labirinti che possono essere meglio visti, inseguiti, in
una fantasmagoria di visione se, in scena, davanti a noi, non appare il signor
X o il signor o il signor . Anche perché
mettere in scena, rappresentare il tema di Loge assieme al tema del Walhalla è
veramente difficile.
[…]
Testo
tratto da L’Oro del Reno in Giuseppe Sinopoli, Il mio Wagner. Il racconto della Teatralogia, a cura di Sandro
Cappelletto, Marsilio Editori, Venezia 2006, pp. 25-42