«È talmente bella la musica ed è talmente bello salire
sul palco… Non saprei davvero immaginare, in questo momento, la mia vita senza
tutto questo»
(Foto di Serena Gamberoni) |
Bastano pochi minuti di conversazione; basta,
soprattutto, iniziare a parlare di musica… ed ecco una sorprendente
trasformazione. La timidezza lascia il posto alla loquacità e gli occhi
brillano di una luce particolare nel ricordare esperienze, incontri ed
emozioni. «È talmente bella la musica ed è talmente bello salire sul palco… Non
saprei davvero immaginare, in questo momento, la mia vita senza tutto questo».
«Certo», aggiunge, «non è sempre facile. È un lavoro molto stimolante ma al tempo stesso stressante. Sei sempre sotto i riflettori e costantemente sotto giudizio: ci vuole davvero tanta forza di volontà e fiducia in se stessi».
«Certo», aggiunge, «non è sempre facile. È un lavoro molto stimolante ma al tempo stesso stressante. Sei sempre sotto i riflettori e costantemente sotto giudizio: ci vuole davvero tanta forza di volontà e fiducia in se stessi».
Incontro Anicio a Milano, a pochi giorni da un doppio importante appuntamento con Johann Sebastian Bach: il primo, con la Johannespassion presso l’Auditorium di Largo Mahler e il Duomo di Milano (con laVerdi e la direzione di Ruben Jais); il secondo, con l’Osteroratorium e la Cantata “O Ewigkeit, Du Donnerwort”, con laBarocca diretta da Ruben Jais. «Amo molto Bach ed è uno dei compositori che ho affrontato maggiormente, soprattutto all’inizio del mio percorso», mi dice.
Non è nato in una famiglia di musicisti, Anicio, ma sono proprio i genitori (padre avvocato e madre professoressa) a fargli scoprire, piccolissimo, la musica. «Avevo 5 o 6 anni quando i miei mi comprarono un violino. Me ne innamorai subito ed entrai alla Scuola di Musica di Fiesole dove ho studiato per tanti anni, con Mauro Ceccanti, prima, e Leonardo Matucci, poi».
L’incontro con la lirica avviene, invece, molto tempo
dopo e in maniera del tutto casuale. «Fino ai 16 anni sono stato completamente
al di fuori di questo mondo: non avevo alcun interesse per il canto. Un giorno
ho scoperto per caso delle audiocassette di mio padre con registrazioni di arie
d’opera, tra le quali molte cantate da Pavarotti: ho iniziato ad ascoltarle
continuamente e fin da subito è stato istintivo provare a ripetere. Pian piano
la passione per il canto è aumentata: a forza di cantare sulle registrazioni,
un po’ per imitazione, ho iniziato a impostare, a modo mio, la voce».
A un certo punto, però, Anicio capisce che è arrivato il momento di farsi ascoltare da qualcuno e studiando ancora violino a Fiesole la scelta ricade su di un’insegnate di canto della scuola. «All’epoca ero talmente timido che pensai di registrare una cassetta e di portargliela. Dopo aver ascoltato quella registrazione lei mi incoraggiò molto e mi spinse a continuare».
A un certo punto, però, Anicio capisce che è arrivato il momento di farsi ascoltare da qualcuno e studiando ancora violino a Fiesole la scelta ricade su di un’insegnate di canto della scuola. «All’epoca ero talmente timido che pensai di registrare una cassetta e di portargliela. Dopo aver ascoltato quella registrazione lei mi incoraggiò molto e mi spinse a continuare».
Due anni dopo, l’ammissione in Conservatorio a Firenze,
dove ha cominciato a mettere su un po’ di repertorio, soprattutto arie di
Mozart e tanta liederistica, che lo affascinava incredibilmente. Da lì
l’esibizione nei primi concerti a Firenze e dintorni. Poi l’incontro con alcuni
insegnanti privati che contribuiscono a dargli una corretta base tecnica, fino
a incontrare, dopo qualche anno Fernando Cordeiro Opa, il suo Maestro. «Ancora
oggi, appena posso, vado a farmi sentire da lui. È una fonte costante di
consigli e di incoraggiamento».
Anicio Zorzi Giustiniani ne Il barbiere di Siviglia |
Gli chiedo quando è stato il momento in cui ha capito che
la musica sarebbe diventata la sua professione: «Ho desiderato fin da subito
intraprendere questa strada: certo, non è stato sempre facile. Dopo il liceo ho
studiato giurisprudenza all’università ma alla fine il richiamo verso il canto
ha avuto la meglio».
Nel 2005 avviene il primo debutto importante, nel ruolo
del protagonista, nell’opera Mitridate
di Nicola Porpora con la regia di Massimo Gasparon e la direzione di
Massimiliano Carraro al Teatro La Fenice di Venezia (poi replicato al Teatro
dei Dovizi di Bibbiena, al Malibran di Venezia, al Festival Mozart di Rovereto
e al Teatro Calderòn di Valladolid in Spagna).
Dopo quest’esperienza arrivano man mano le prime
soddisfazioni: nel 2007, il secondo premio assoluto al VI Concorso
Internazionale di Musica Sacra; nel 2009 la vittoria del XXXIX Concorso
Internazionale Toti dal Monte di Treviso; poi, i tanti debutti e le incisioni
discografiche. A breve uscirà un cd nel quale Anicio
interpreta – accanto a Maria Grazia Schiavo, Silvia Frigato, Martina Belli e
Ugo Guagliardo – l’oratorio Morte e
sepoltura di Cristo di Antonio Caldara diretto da Fabio Biondi. Di rilievo
tutte le incisioni effettuate finora, sempre con prestigiose etichette
discografiche, tra le quali ben cinque con Alan Curtis e Il Complesso Barocco (Giove in Argo, Berenice, Ariodante, Ezio e Bestiary di Händel) e una con Riccardo Muti e l’Orchestra Luigi Cherubini (I due Figaro di Mercadante).
Chiedo ad Anicio di raccontarmi di qualche debutto che lo
ha particolarmente emozionato. «Tra i più recenti ricordo con estremo piacere
quello in Oman, lo scorso marzo, in Romeo ne I Capuleti e i Montecchi. Il ruolo, scritto in origine per
mezzosoprano (un ruolo impegnativo con una tessitura molto centrale ma con la
presenza anche di molti acuti) è stato rare volte interpretato da tenori. La
più memorabile è quella con Jaume Aragall nel ruolo di Romeo, accanto a Luciano
Pavarotti nel ruolo di Tebaldo e con la direzione di Claudio Abbado. Ho provato
una felicità incredibile nel cantarlo. Ottimo, poi, è stato anche il rapporto
con il direttore Fabrizio Maria Carminati sia musicalmente che umanamente. E
incredibilmente bella e originale era la regia di Arnaud Bernard. Sicuramente,
nel complesso, una delle esperienze più belle finora».
Un’altra collaborazione recente molto significativa ed
emozionante, mi confida, è stata anche quella con Stefano Montanari che lo ha
diretto in Così fan tutte, con la
regia di Damiano Michieletto. Tornando, invece, indietro con la memoria
inevitabile pensare all’incontro, anzi agli incontri con Riccardo Muti, con il
quale ha interpretato Ozia ne La Betulia
liberata di Mozart al Festival di Salisburgo e al Teatro Alighieri di
Ravenna, Torribio ne I due Figaro di
Saverio Mercadante al Festival di Pentecoste di Salisburgo, al Teatro Alighieri
di Ravenna, al Teatro Real di Madrid e al Teatro Colòn di Buenos Aires, oltre
che il tenore primo solista nel Chant
pour la mort d’Haydn di Luigi Cherubini in un concerto al Festival di
Pentecoste di Salisburgo trasmesso in diretta alla radio austriaca.
«Lavorare con Riccardo Muti è stata un’esperienza
indimenticabile: è un direttore estremamente esigente ma davvero attentissimo a
ogni dettaglio e sfumatura. Ricordo ancora quando mi ha ascoltato in Un’aura amorosa dal Così fan tutte di Mozart: è stato come avere una lezione privata.
Abbiamo studiato insieme battuta per battuta, frase per frase, con una cura
straordinaria per ogni nota, ogni dettaglio. Mi ha detto delle cose
interessantissime che ancora oggi ricordo e mi tornano utili».
Mozart, tra l’altro, è sicuramente il compositore con il
quale Anicio si sente maggiormente a suo agio. «È il centro del mio repertorio
e mi piace davvero moltissimo. Fin dai primi passi in questo mondo ho dato
moltissimo spazio alla musica barocca e del primo Settecento ma amo anche
scoprire repertori nuovi».
Gli chiedo, allora, qual è il ruolo che amerebbe
particolarmente interpretare. «L’anno prossimo debutterò in Lucrezia Borgia e
non vedo l’ora, ma il mio sogno nel cassetto è, senza dubbio, vestire i panni
di Nemorino ne L’elisir d’amore».
Estremamente esigente nei confronti di se stesso, Anicio
non ha fretta di “arrivare”: è preoccupato, più che altro di fare bene e di
ponderare ogni scelta. «Oltre al talento, a uno studio costante e a
un’attenzione per l’alimentazione e il fisico (è importante avere molta energia
per reggere gli impegni) in questa professione ci vuole anche fortuna, certo. È
necessaria, però, anche una grande intelligenza nel capire qual è il proprio
punto di forza e nel riuscire ad amplificarlo, nel fare scelte giuste di
repertorio e anche nel comprendere qual è il momento più adatto per ogni cosa.
I consigli di chi ti è vicino, e in particolare dell’insegnante a cui ciascuno
si affida, sono fondamentali».
Chiedo, infine, ad Anicio com’è riuscito, negli anni, a
vincere l’insicurezza e le paure e candidamente mi risponde: «La paura del
palcoscenico, in realtà, non si supera mai del tutto: il tempo aiuta soltanto,
pian piano, a imparare a conviverci».
Adriana Benignetti