domenica 27 aprile 2014

A colloquio con… Anicio Zorzi Giustiniani

«È talmente bella la musica ed è talmente bello salire sul palco… Non saprei davvero immaginare, in questo momento, la mia vita senza tutto questo»


(Foto di Serena Gamberoni)
Timido e a tratti introverso, estremamente posato e gentile, poco loquace ma sempre sorridente: è questa la prima impressione che si ha parlando con Anicio Zorzi Giustiniani.


Bastano pochi minuti di conversazione; basta, soprattutto, iniziare a parlare di musica… ed ecco una sorprendente trasformazione. La timidezza lascia il posto alla loquacità e gli occhi brillano di una luce particolare nel ricordare esperienze, incontri ed emozioni. «È talmente bella la musica ed è talmente bello salire sul palco… Non saprei davvero immaginare, in questo momento, la mia vita senza tutto questo». 


«Certo», aggiunge, «non è sempre facile. È un lavoro molto stimolante ma al tempo stesso stressante. Sei sempre sotto i riflettori e costantemente sotto giudizio: ci vuole davvero tanta forza di volontà e fiducia in se stessi». 


Incontro Anicio a Milano, a pochi giorni da un doppio importante appuntamento con Johann Sebastian Bach: il primo, con la Johannespassion presso l’Auditorium di Largo Mahler e il Duomo di Milano (con laVerdi e la direzione di Ruben Jais); il secondo,  con l’Osteroratorium e la Cantata “O Ewigkeit, Du Donnerwort”, con laBarocca diretta da Ruben Jais. «Amo molto Bach ed è uno dei compositori che ho affrontato maggiormente, soprattutto all’inizio del mio percorso», mi dice.


Non è nato in una famiglia di musicisti, Anicio, ma sono proprio i genitori (padre avvocato e madre professoressa) a fargli scoprire, piccolissimo, la musica. «Avevo 5 o 6 anni quando i miei mi comprarono un violino. Me ne innamorai subito ed entrai alla Scuola di Musica di Fiesole dove ho studiato per tanti anni, con Mauro Ceccanti, prima, e Leonardo Matucci, poi».

L’incontro con la lirica avviene, invece, molto tempo dopo e in maniera del tutto casuale. «Fino ai 16 anni sono stato completamente al di fuori di questo mondo: non avevo alcun interesse per il canto. Un giorno ho scoperto per caso delle audiocassette di mio padre con registrazioni di arie d’opera, tra le quali molte cantate da Pavarotti: ho iniziato ad ascoltarle continuamente e fin da subito è stato istintivo provare a ripetere. Pian piano la passione per il canto è aumentata: a forza di cantare sulle registrazioni, un po’ per imitazione, ho iniziato a impostare, a modo mio, la voce».

A un certo punto, però, Anicio capisce che è arrivato il momento di farsi ascoltare da qualcuno e studiando ancora violino a Fiesole la scelta ricade su di un’insegnate di canto della scuola. «All’epoca ero talmente timido che pensai di registrare una cassetta e di portargliela. Dopo aver ascoltato quella registrazione lei mi incoraggiò molto e mi spinse a continuare». 




Due anni dopo, l’ammissione in Conservatorio a Firenze, dove ha cominciato a mettere su un po’ di repertorio, soprattutto arie di Mozart e tanta liederistica, che lo affascinava incredibilmente. Da lì l’esibizione nei primi concerti a Firenze e dintorni. Poi l’incontro con alcuni insegnanti privati che contribuiscono a dargli una corretta base tecnica, fino a incontrare, dopo qualche anno Fernando Cordeiro Opa, il suo Maestro. «Ancora oggi, appena posso, vado a farmi sentire da lui. È una fonte costante di consigli e di incoraggiamento».


Anicio Zorzi Giustiniani ne
Il barbiere di Siviglia


Gli chiedo quando è stato il momento in cui ha capito che la musica sarebbe diventata la sua professione: «Ho desiderato fin da subito intraprendere questa strada: certo, non è stato sempre facile. Dopo il liceo ho studiato giurisprudenza all’università ma alla fine il richiamo verso il canto ha avuto la meglio».

Nel 2005 avviene il primo debutto importante, nel ruolo del protagonista, nell’opera Mitridate di Nicola Porpora con la regia di Massimo Gasparon e la direzione di Massimiliano Carraro al Teatro La Fenice di Venezia (poi replicato al Teatro dei Dovizi di Bibbiena, al Malibran di Venezia, al Festival Mozart di Rovereto e al Teatro Calderòn di Valladolid in Spagna).

Dopo quest’esperienza arrivano man mano le prime soddisfazioni: nel 2007, il secondo premio assoluto al VI Concorso Internazionale di Musica Sacra; nel 2009 la vittoria del XXXIX Concorso Internazionale Toti dal Monte di Treviso; poi, i tanti debutti e le incisioni discografiche. A breve uscirà un cd nel quale Anicio interpreta – accanto a Maria Grazia Schiavo, Silvia Frigato, Martina Belli e Ugo Guagliardo – l’oratorio Morte e sepoltura di Cristo di Antonio Caldara diretto da Fabio Biondi. Di rilievo tutte le incisioni effettuate finora, sempre con prestigiose etichette discografiche, tra le quali ben cinque con Alan Curtis e Il Complesso Barocco (Giove in Argo, Berenice, Ariodante, Ezio e Bestiary di Händel) e una con Riccardo Muti e l’Orchestra Luigi Cherubini (I due Figaro di Mercadante). 



Chiedo ad Anicio di raccontarmi di qualche debutto che lo ha particolarmente emozionato. «Tra i più recenti ricordo con estremo piacere quello in Oman, lo scorso marzo, in Romeo ne I Capuleti e i Montecchi. Il ruolo, scritto in origine per mezzosoprano (un ruolo impegnativo con una tessitura molto centrale ma con la presenza anche di molti acuti) è stato rare volte interpretato da tenori. La più memorabile è quella con Jaume Aragall nel ruolo di Romeo, accanto a Luciano Pavarotti nel ruolo di Tebaldo e con la direzione di Claudio Abbado. Ho provato una felicità incredibile nel cantarlo. Ottimo, poi, è stato anche il rapporto con il direttore Fabrizio Maria Carminati sia musicalmente che umanamente. E incredibilmente bella e originale era la regia di Arnaud Bernard. Sicuramente, nel complesso, una delle esperienze più belle finora».

Un’altra collaborazione recente molto significativa ed emozionante, mi confida, è stata anche quella con Stefano Montanari che lo ha diretto in Così fan tutte, con la regia di Damiano Michieletto. Tornando, invece, indietro con la memoria inevitabile pensare all’incontro, anzi agli incontri con Riccardo Muti, con il quale ha interpretato Ozia ne La Betulia liberata di Mozart al Festival di Salisburgo e al Teatro Alighieri di Ravenna, Torribio ne I due Figaro di Saverio Mercadante al Festival di Pentecoste di Salisburgo, al Teatro Alighieri di Ravenna, al Teatro Real di Madrid e al Teatro Colòn di Buenos Aires, oltre che il tenore primo solista nel Chant pour la mort d’Haydn di Luigi Cherubini in un concerto al Festival di Pentecoste di Salisburgo trasmesso in diretta alla radio austriaca.

«Lavorare con Riccardo Muti è stata un’esperienza indimenticabile: è un direttore estremamente esigente ma davvero attentissimo a ogni dettaglio e sfumatura. Ricordo ancora quando mi ha ascoltato in Un’aura amorosa dal Così fan tutte di Mozart: è stato come avere una lezione privata. Abbiamo studiato insieme battuta per battuta, frase per frase, con una cura straordinaria per ogni nota, ogni dettaglio. Mi ha detto delle cose interessantissime che ancora oggi ricordo e mi tornano utili».

Mozart, tra l’altro, è sicuramente il compositore con il quale Anicio si sente maggiormente a suo agio. «È il centro del mio repertorio e mi piace davvero moltissimo. Fin dai primi passi in questo mondo ho dato moltissimo spazio alla musica barocca e del primo Settecento ma amo anche scoprire repertori nuovi». 


Gli chiedo, allora, qual è il ruolo che amerebbe particolarmente interpretare. «L’anno prossimo debutterò in Lucrezia Borgia e non vedo l’ora, ma il mio sogno nel cassetto è, senza dubbio, vestire i panni di Nemorino ne L’elisir d’amore».

Estremamente esigente nei confronti di se stesso, Anicio non ha fretta di “arrivare”: è preoccupato, più che altro di fare bene e di ponderare ogni scelta. «Oltre al talento, a uno studio costante e a un’attenzione per l’alimentazione e il fisico (è importante avere molta energia per reggere gli impegni) in questa professione ci vuole anche fortuna, certo. È necessaria, però, anche una grande intelligenza nel capire qual è il proprio punto di forza e nel riuscire ad amplificarlo, nel fare scelte giuste di repertorio e anche nel comprendere qual è il momento più adatto per ogni cosa. I consigli di chi ti è vicino, e in particolare dell’insegnante a cui ciascuno si affida, sono fondamentali».

Chiedo, infine, ad Anicio com’è riuscito, negli anni, a vincere l’insicurezza e le paure e candidamente mi risponde: «La paura del palcoscenico, in realtà, non si supera mai del tutto: il tempo aiuta soltanto, pian piano, a imparare a conviverci».

Adriana Benignetti