«Essere musicisti è
meraviglioso: si ha l’opportunità di viaggiare,
suonare in bellissime sale, visitare tante città e farsi conoscere dal grande
pubblico. Credo che sia doveroso utilizzare questa “popolarità” per fare
qualcosa di utile, per aiutare gli altri, per donare»
L’avevo
già ascoltata dal vivo, tempo fa, e, più di recente, incontrandola per caso a
Milano, avevo scambiato con lei qualche parola. Poche, a dire il vero, ma
sufficienti a incuriosirmi e a provare il desiderio di saperne di più. Quel che
mi aveva colpito, in particolare, era un sottile contrasto tra quello che si
può immaginare, vedendola senza conoscerla, e quel che si percepisce
osservandola più da vicino.
(©
Tom Barnes for Warner Classics) |
Altissima,
fisico statuario, capelli rosso fuoco e un’immagine che ricorda quella di
qualche attrice-diva degli anni passati, Rachel Kolly d’Alba nasconde, in
realtà, una semplicità impressionante, come impressionante e contagiosa è la
sua sensibilità. Lo avevo percepito immediatamente, in quei pochi minuti, ma ne
ho la conferma piena quando la incontro per l’intervista.
L’appuntamento
è davanti al Teatro Dal Verme, poche ore prima di un concerto che la vedrà
protagonista con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, diretta da Daniel
Kawka. Quando arriva, con a seguito la carinissima figlia di 7 anni, mi sento
stranamente a mio agio, come poche volte mi è capitato prima: senza un filo di
trucco e con i capelli raccolti in due graziose treccine, sembra ancora più
giovane dei suoi 32 anni.
(©A. Matropalo) |
Anni
vissuti intensamente, da un lato si potrebbe dire velocemente, ma allo stesso
tempo con estrema calma. «Ho l’impressione che nella mia vita, in particolare
in quella professionale, tutte le cose siano arrivate al momento giusto, quando
ero pronta: nulla è mai accaduto troppo presto» mi confessa. Eppure, a leggere
la sua biografia, si resta alquanto esterrefatti: la scoperta del violino a 1
anno, l’inizio dello studio a 5 anni, il debutto con orchestra a 12. «Tutto è
avvenuto in maniera estremamente naturale. Nella mia famiglia non c’erano
musicisti: mio padre, giornalista, specialista del Vaticano, era il direttore
della tv e della radio cattoliche in Svizzera. Tutte le domeniche, in radio,
c’era l’Orchestre de Chambre de Lausanne che suonava e, insieme a mia madre e
alle mie sorelle, andavamo a sentire i concerti. Ho amato immediatamente il
violino, il suo suono che riconoscevo anche in orchestra, e la sua forma: se ci
pensi è l’unico strumento che si tiene vicino al cuore. Desideravo averlo,
avere il mio “peluche” da coccolare e quando, pochi anni dopo, è arrivato il
primo violino è stata una gioia immensa».
A
10 anni arrivano anche le prime vittorie importanti nei principali concorsi musicali
della Svizzera e a 15 Rachel ottiene il diploma di virtuosità e di insegnamento
per il violino e la musica da camera. «Non ho mai avuto alcuna pressione né
spinta da parte dei miei genitori, né degli insegnanti. Ho sempre provato
estremo piacere nel suonare e quando sono diventata adolescente, ho capito con
chiarezza che la musica sarebbe stata la mia strada e il violino il mio
compagno di cammino». E a queste parole la figlia Amarena, mi confessa che
“spesso la mamma addirittura dorme con il violino”.
Dopo
il diploma, Rachel continua gli studi in orchestrazione, composizione e
analisi, mentre la sua carriera va avanti, nella musica da camera come nel
solismo. «In musica, per me, non esistono divisioni: amo la musica a 360 gradi.
Sicuramente, però, la musica da camera è stata fondamentale nella mia crescita,
musicale e non solo: c’è un contatto talmente diretto con gli altri musicisti,
da diventare un luogo privilegiato della vera “condivisione”».
Tra
le tante collaborazioni, ad esempio, ricorda con estremo piacere quella con il
pianista Christian Chamorel. «La
collaborazione con lui è iniziata quando avevo 12 anni e oltre a essere un
eccellente musicista è per me anche un amico. Suonare con lui è un doppio
piacere perché passiamo moltissimo tempo anche a parlare, a ridere come due
ragazzini».
Un piacere che Rachel riscopre ogni volta che si trova a condividere davvero la musica: «Non amo i direttori d’orchestra che vogliono imporre le loro idee, senza confronto. La musica è dialogo, innanzi tutto, e la vera gioia è quando si può discutere, fare musica insieme nel senso più profondo del termine». Come è accaduto, ad esempio, con l’Orchestra Haydn e Kawka, con i quali suonerà questo pomeriggio, o con John Axelrod, oggi suo compagno di vita.
Un piacere che Rachel riscopre ogni volta che si trova a condividere davvero la musica: «Non amo i direttori d’orchestra che vogliono imporre le loro idee, senza confronto. La musica è dialogo, innanzi tutto, e la vera gioia è quando si può discutere, fare musica insieme nel senso più profondo del termine». Come è accaduto, ad esempio, con l’Orchestra Haydn e Kawka, con i quali suonerà questo pomeriggio, o con John Axelrod, oggi suo compagno di vita.
A
farli incontrare, scopro, è stata proprio la Serenade per violino, archi, arpa e percussioni di Leonard Bernstein,
che Rachel suonerà tra poco e che ha eseguito la prima volta 3 anni fa con l’Orchestre National des Pays de la Loire guidata
proprio dal direttore texano. «Ho conosciuto John Axelrod grazie a questo
brano, 5 anni fa: all’epoca lui era direttore principale della Luzerner
Sinfonie Orchester e direttore musicale del Teatro di Lucerna e gli avevo
confessato che mi sarebbe piaciuto suonarla. La Serenade viene eseguita molto di rado, nonostante sia molto bella: affrontarla
con lui, che di Bernstein è stato allievo diretto, è stato magnifico. Ho avuto
l’opportunità di vedere la sua partitura dov’erano conservate tutte le
annotazioni originali di Bernstein, le parole, le idee, il modo di intendere i
respiri… ogni dettaglio».
Una
composizione estremamente difficile e alquanto distante, probabilmente, da
quello che il pubblico si aspetta pensando a Bernstein. «È un cliché,
tipicamente europeo, quello di considerare la musica americana “troppo popolare”.
La Serenade, ad esempio, è musica
estremamente complessa, piena di sfumature, difficile tecnicamente ma allo
stesso tempo profonda e appassionata».
E
l’anno scorso, insieme ad Axelrod, Rachel ha inciso per la prestigiosa
etichetta Warner Classics un CD, American
Serenade, interamente dedicato alla
musica americana (disco che ha già ricevuto il premio “Supersonic” della
rivista Pizzicato, 5 stelle da Diapason e la nomina agli ICMA 2013): le
chiedo quali sono i motivi alla base delle sue scelte di repertorio. «Il fatto
che, come dicevo all’inizio, tutto è arrivato al momento giusto, mi rende
estremamente serena perché ho avuto e ho l’opportunità di scegliere. Non ho mai
pensato di suonare qualcosa perché poteva fare più presa sul pubblico o perché,
nel caso di un CD, potesse vendere più copie. Ho sempre suonato il repertorio
che amo di più e che conosco più approfonditamente. Per esempio, prima di
incidere Ysaÿe ho conosciuto la famiglia, i nipoti, ho analizzato i manoscritti
e letto tutte le biografie esistenti. Solamente allora ho pensato di essere
pronta».
Un
amore antico quello per la musica francese alla quale Rachel ha dedicato French Impression nel 2011 – disco che ha vinto il
“Supersonic Award” 2011 della rivista Pizzicato
ed è stato premiato come “Best Recording of the Year in the Concerto category”
agli ICMA 2012 –, dopo aver inciso, l’anno precedente, Passion Ysaÿe:
tutti dischi registrati per la Warner Classics. «Ho scoperto la musica francese
quando avevo 13-14 anni e l’ho amata immediatamente e subito suonata. Non
sempre ciò che si ama di più e ciò che si suona meglio coincidono: in questo
caso sì. È un mondo che adoro perché ricco di colori, sfumature, e nel quale mi
sento perfettamente a mio agio, come una seconda pelle: è molto affine al mio
modo di essere». E, mi spiega di trovare una certa continuità tra questo mondo
e quello di certa musica americana, un altro suo grande amore appunto, insieme
alla musica contemporanea.
Appassionata
di scrittura, la Kolly d’Alba si diletta anche a comporre romanzi e favole:
«Quando ero adolescente ho provato a comporre musica, nel periodo in cui
studiavo composizione: poi, ho lasciato stare perché è un mondo davvero
complesso. Credo di esprimermi meglio nella scrittura».
Un’altra
grande passione ha, però, negli ultimi due anni preso un grandissimo posto
nella vita di Rachel: quella che le è valsa la nomina ad ambasciatrice per
Handicap International, associazione nata 30 anni fa. L’avvicinamento a
Handicap International è stato naturale per la d’Alba che, per esperienze
familiari, ha sviluppato da sempre una sensibilità particolare per questo tema.
«Le mie due sorelle sono medici, mia nonna era handicappata e anche mia madre
ha perso, in seguito a un incidente, un piede. Questo, probabilmente, ha smosso
la mia sensibilità oltre al desiderio di trovare un equilibrio tra il mondo
spirituale, nel quale sono immersa con la musica, e quello reale. Per chi, come
me, suona, capita di passare anche 7-8 ore da soli con il proprio strumento: è
importante ricordarsi anche dei meno fortunati».
E
così, nel febbraio di quest’anno, Rachel ha fatto la sua prima missione in
Cambogia e quando ne parla si emoziona ancora. «È stata un’esperienza
straordinaria: per due settimane e mezzo ho visitato tutti i luoghi nei quali
Handicap International si occupa delle persone, di quelli che sono stati
colpiti dalle mine antiuomo, in primis,
ma anche di bambini o donne in difficoltà. In Cambogia moltissimi non avevano
nemmeno mai sentito il violino e la risposta è stata incredibile: soprattutto quella
dei bambini. Era fantastico vedere la loro reazione di fronte al pizzicato o al
vibrato: ridevano ed erano felici. Mi hanno raccontato la loro vita e io a loro
la mia, e ci sono stati tanti momenti di scambio: dei momenti magici. La musica
è qualcosa che tocca tutti».
(©Nicolas Axelrod per HI Suisse) |
(©Nicolas Axelrod per HI Suisse) |
Vengo
a scoprire che a breve Rachel terrà un concerto in Svizzera, il cui ricavato
andrà totalmente a Handicap International: «La Svizzera è un Paese ricco, che
dispone di tutte le infrastrutture per le persone con handicap: spesso, però,
quando in passato parlavo della necessità di aiutare persone all’estero per
questo problema, rimanevano basiti. Le vedevano come realtà lontane e pensavano
fosse sufficiente quello che veniva fatto in patria. Diventare ambasciatrice di
Handicap International mi ha permesso di trasmettere il messaggio con grande
forza e visibilità e le persone hanno iniziato a riflettere».
E,
prima di salutarci, mi dice: «Essere musicisti è meraviglioso: si ha
l’opportunità di viaggiare, suonare in bellissime sale, visitare tante città e
farsi conoscere dal grande pubblico. Credo sia doveroso utilizzare questa
“popolarità” per fare qualcosa di utile, per aiutare gli altri, per donare».
Adriana Benignetti