Melodramma
in tre atti
Libretto
Francesco Maria Piave (Murano, Venezia, 1810 – Milano, 1876) dal dramma La Dame aux camélia di Alexandre Dumas figlio
Francesco Maria Piave (Murano, Venezia, 1810 – Milano, 1876) dal dramma La Dame aux camélia di Alexandre Dumas figlio
Prima
rappresentazione: Venezia, Teatro La
Fenice, 6 marzo 1853
Personaggi
Violetta
Valéry (Soprano)
Flora
Bervoix, sua amica (Mezzosoprano)
Annina,
cameriera di Violetta (Soprano)
Alfredo
Germont (Tenore)
Giorgio
Germont, padre di Alfredo (Baritono)
Gastone,
visconte di Letorières (Tenore)
Douphol,
barone e protettore di Violetta (Baritono)
D’Obigny,
marchese e amico di Flora (Basso)
Grenvil,
dottore (Basso)
Giuseppe,
servo di Violetta (Tenore)
Un
domestico di Flora (Basso)
Un
Commissionario (Basso)
Signore
e signori amici di Violetta e di Flora, mattadori, piccadori, zingari, servi di
Violetta e di Flora, maschere
La
vicenda si svolge a Parigi, durante l’Ottocento
Atto I
Violetta Valéry, donna bella, mondana
e amante del barone Douphol, ha organizzato nella propria abitazione un
ricevimento, al quale partecipano gaudenti aristocratici e compiacenti
damigelle. Tra i vari invitati alla festa c’è anche Gastone, visconte de
Letorières, che presenta alla padrona di casa Alfredo Germont, un giovane che
l’ammira profondamente. Violetta propone un brindisi agli invitati (“Libiamo ne’
lieti calici”): poi, nel salone accanto, iniziano le danze. Alfredo vorrebbe
invitare Violetta a ballare, ma la donna deve interrompersi per un improvviso
attacco di tosse: il giovane, preoccupandosi per la sua salute, l’assiste e le dichiara il suo amore (“Un dì, felice,
eterea, / mi balenaste innante”), ricevendo in cambio, solo promesse di
amicizia (“Ah, se ciò è ver, fuggitemi… solo amistade io v’offro”). Prima di
salutare Alfredo, Violetta gli dona una camelia, il suo fiore preferito,
promettendo di darsi appuntamento quando il fiore sarà appassito: il giovane,
segretamente innamorato da tempo della donna, se ne va felice. Quando anche
tutti gli altri invitati sono andati via, rimasta da sola Violetta riflette
sulle parole di Alfredo: si rende conto che le hanno fatto effetto (“Ah, fors’è
lui che l’anima”) ma, allo stesso tempo, paura di vivere un amore serio (“Follie…
follie… delirio vano è questo”). Sa bene, infatti, che il suo destino è ben
diverso (“Sempre libera degg’io / folleggiare di gioia in gioia”).
Atto II
Scena I
Violetta e Alfredo vivono insieme,
poco lontani da Parigi, in una casa di campagna e sono felici della loro storia:
in particolare, l’uomo riflette sulla serenità acquisita (“De’ miei bollenti
spiriti / il giovanile ardore / ella temprò col placido / sorriso dell’amore”).
Un giorno, però, l’uomo viene a sapere da Annina, cameriera di Violetta, che la
donna ha dovuto vendere dei gioielli per riuscire a pagare le spese: si
ripromette, allora, di porre rimedio alla situazione finanziaria e parte per
Parigi per trovare una soluzione (“O mio rimorso, o infamia, / io vissi in tale
errore”). Rimasta da sola, Violetta riceve la visita del padre di Alfredo,
Giorgio Germont, che chiede alla donna di porre fine alla peccaminosa
convivenza: il futuro genero minaccia, infatti, di non sposare più la sorella
di Alfredo, a causa del disonore che grava sulla famiglia Germont (“Pura siccome
un angelo / Iddio mi die’ una figlia”). Violetta tenta di difendere il suo
amore puro per Alfredo, ma dopo prolungate insistenze promette a Giorgio
Germont di lasciare suo figlio (“Dite alla giovine – sì bella e pura / ch’avvi
una vittima – della sventura”). Quando l’uomo va via, Violetta inizia a
scrivere due lettere: una per il suo ex amante, il barone Douphol; l’altra per
Alfredo. Prima, però, che la missiva sia terminata Alfredo torna a casa:
Violetta si promettere, con una straziante richiesta, eterno amore (“Amami
Alfredo, amami quant’io t’amo”), ma poi fugge verso Parigi. Il giovane legge la
lettera a lui indirizzata e disperato si confida con il padre, che cerca di
consolarlo (“Di Provenza il mar, il suol – chi dal cor ti cancellò?”): appreso,
poi, che Violetta ha ricevuto un invito per quella sera a casa di Flora Bervoix
parte per raggiungere l’amata.
Scena II
A casa di Flora Bervoix si svolge un
ricevimento: zingarelle e toreri ballano nel salone e cantano festosi (“Noi
siamo zingarelle”; “Di Madrid noi siamo mattadori”). All’improvviso arriva
Alfredo alla disperata ricerca di Violetta: la donna, però, appare accompagnata
dal suo ex amante, il barone Douphol che sfida Alfredo al tavolo da gioco. Il
giovane sbanca tutti, vincendo una grossa somma di denaro. Gli invitati si
apprestano a iniziare la cena quando Violetta fa chiamare Alfredo: gli confessa
di amare Douphol e lo prega di andar via. In presenza di tutti gli invitati il
giovane butta ai piedi della donna una borsa piena di denaro, denunciando
pubblicamente la sua condotta immorale. Violetta si sente male, Douphol sfida
il giovane a duello, i presenti commentano con compassione e il padre di
Alfredo, appena sopraggiunto, rimprovera il comportamento del figlio (“Di
sprezzo degno se stesso rende / chi pur nell’ira la donna offende”).
Atto III
Violetta è a letto sofferente: la
tisi è peggiorata e la donna è sempre più grave, tanto che il dottor Grenvil
confida ad Annina che la morte è ormai vicina. Rimasta da sola Violetta legge
una lettera appena ricevuta: è di Giorgio Germont che le confida di aver
rivelato la verità ad Alfredo e che questi sta tornando da lei per chiederle
perdono. La donna ripensa ai giorni felici (“Addio del passato bei sogni
ridenti”); poi, quando ormai è allo stremo delle forze, Annina le comunica l’arrivo
di Alfredo. L’uomo le chiede perdono (“Colpevol sono… so tutto, o cara”); poi,
fa progetti per il futuro (“Parigi, o cara, noi lasceremo”). Nel frattempo
arriva anche Giorgio Germont, per confortare la donna che dona all’uomo un
medaglione (“Prendi; quest’è l’immagine”); poi, sfinita, cade esanime.
Adriana Benignetti