«Studiare un brano del genere ti apre la mente a tal punto da far
sembrare tutto il resto del repertorio una “passeggiata”»
Giuliano Rizzotto con Vinko Globokar |
Il
prossimo 27 maggio, in occasione del decimo anniversario della scomparsa, laVerdi
renderà omaggio, con un concerto straordinario, a Luciano Berio (Oneglia,
24 ottobre 1925 – Roma, 27 maggio 2003), Direttore Onorario
dell’istituzione milanese, e legato all’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe
Verdi” da un’intensa e duratura collaborazione.
Tra i protagonisti della
serata, che vedrà impegnate diverse prime parti de laVerdi, c’è Giuliano
Rizzotto, primo trombone solista, che eseguirà la Sequenza V per
trombone solo, scritta da Luciano Berio nel 1965. L’ho incontrato per
chiedergli di raccontarmi qualcosa in più di questa complessa composizione alla
quale è profondamente legato.
In
cosa risiedono le difficoltà principali di Sequenza V?
Questo brano è considerato tutt’ora uno dei più difficili da
eseguire. La parte è molto complessa perché oltre alle note convenzionali ci
sono segni per i movimenti della sordina, per l'uso della voce e per i
movimenti del corpo... Quasi un geroglifico!
Quando hai affrontato, per la prima volta, questo brano?
Ho iniziato a studiare Sequenza V con il maestro Vinko
Globokar a Fiesole per i Corsi di Alto Perfezionamento – all’epoca frequentavo il V anno di studio in
Conservatorio ad Aosta (1990) –: ho impiegato circa 6 mesi. La mia fortuna è
stata di studiare Sequenza proprio con il trombonista che ha collaborato
a stretto contatto con Luciano Berio durante la sua stesura.
Il brano era stato commissionato da Stuart Dempster ma la prima
ufficiale è stata, infatti, proprio di Globokar. Perché? Immaginate nel 1966
ricevere una partitura del genere! Ovviamente per Dempster fu uno shock e la leggenda
narra che riferì a Luciano Berio che la parte era ineseguibile! Qualche anno
più tardi, però, si ricredette e Sequenza entrò stabilmente nel suo
repertorio.
Quali sono state le tappe principali dello studio di questa
partitura?
Da un punto di vista più strettamente tecnico, ho dovuto
dividere lo studio in 4 sezioni differenti: movimento della sordina, movimento
del corpo, note suonate e note cantate. Una volta che il tutto era decifrato ho
iniziato a unirli con calma per assimilarli al meglio. Lo studio di una singola
riga poteva impegnarmi per settimane intere anche perché la metrica è misurata
in secondi e non in tempo convenzionale.
Che ricordi hai della tua prima esecuzione del brano?
Durante la mia specializzazione in Musica Contemporanea a
Parigi, sempre con Vinko Globokar e Benny Sluchin (trombone solista dell’Ensemble
Intercontemporain), nel 1991, ho eseguito Sequenza in presenza di
Luciano Berio il quale mi ha dato suggerimenti preziosi: in un brano del genere
c’è sempre qualcosa da scoprire.
Quali sono i suggerimenti principali che hai ricevuto da Vinko
Globokar e Luciano Berio su Sequenza V?
Vinko
Globokar si soffermava maggiormente sulle problematiche tecniche dello
strumento: ad esempio, come impostare la voce mentre si suona, come soffiare
determinati suoni e come usare la sordina plunger per ottenere gli effetti
desiderati.
Berio,
invece, parlava principalmente del comportamento da tenere sul palco, sulla
scena: “[…] se il pubblico ride vuol dire che sta andando bene!”, diceva. Il
suggerimento che ricordo maggiormente, però, è: “Prima
di tutto ricorda che devi recitare: dimentica di essere un trombonista”. Nella
prima parte del brano, infatti, il musicista sta impersonando le gesta di un
clown, nello specifico quelle di Grock (Adriano Wettach).
In
una “Nota” al brano Luciano Berio afferma, infatti, che Sequenza V “vuole
essere un omaggio a Grock e al suo metafisico warum, in inglese why, che
del pezzo è il nucleo generatore”. Ti sei documentato su Grock e sul
significato del “perché?”, nucleo generatore del brano?
Mi hanno raccontato che Grock era molto famoso e particolarmente bravo nel
fare numerose acrobazie durante i suoi numeri. Qualche volta, però, nel mezzo
delle evoluzioni iniziava a sbagliare sempre più frequentemente fino ad
arrivare a fermarsi, guardare il pubblico esterrefatto e pronunciare con
estremo stupore un flebile: “WHY?”. Nessuno sa se tutto ciò era fatto apposta per far
ridere o se realmente le acrobazie erano così ardue da non riuscire a essere portate a termine da Grock. L’effetto, in ogni caso, era che la scena, al tempo stesso, era sì
comica ma anche drammatica. La maggior parte delle volte il pubblico non rideva
e proprio Berio, assistendo da piccolo a una di queste esibizioni, ne rimase molto colpito e commosso. Il “WHY?”
oltre che pronunciarlo tra la prima e seconda parte del brano lo si trova come
effetto procurato numerose volte dalla sordina plunger. L’autore ha voluto
giocare con le vocali U-A-I riproponendole sia con la voce che con l’uso
appunto della sordina. Come? Vi svelo un piccolo segreto: accostando la sordina
alla campana dello strumento, suonando si otterrà un suono cupo tipo una U;
tenendola, invece, verso il basso della campana si otterrà un suono più chiaro
tipo una A. Infine, premendola contro la campana si otterrà un suono aspro tipo
una I. Erano gli anni della piena sperimentazione e questo brano ha aperto le
porte alle generazioni future su come adoperare i nuovi tipi di scrittura.
Come eseguirai questo brano il prossimo 27 maggio?
Lo eseguirò come voleva Berio stesso senza esagerazioni
(vestiti o trucchi) che purtroppo hanno inquinato il brano: frac, maglietta
bianca, scarpe da ginnastica bianche e, come omaggio al clown, se si vuole, una
rosa rossa nel taschino.
Adriana Benignetti