L’opera di Leoš Janáček in scena dal 15 al 23 marzo
2013, con la regia di Robert Carsen e la bacchetta di Gabriele Ferro
Venerdì 15
marzo 2013 alle ore 19.00 (turno A) andrà in scena al Teatro La
Fenice, nell’ambito della Stagione lirica 2012-2013, l’opera in tre atti Věc Makropulos (Il caso Makropulos) di
Leoš Janáček, su libretto del compositore basato sulla commedia omonima del
drammaturgo cèco Karel Čapek.
Penultimo capolavoro operistico di Janáček,
andato in scena il 18 dicembre 1926 al Teatro nazionale di Brno e finora mai
rappresentato a Venezia, Věc Makropulos
sarà proposto in un nuovo allestimento coprodotto dalla Fondazione Teatro La
Fenice con l’Opéra National du Rhin di Strasburgo e lo Staatstheater di
Norimberga (dove è andato in scena rispettivamente nell’aprile 2011 e nel
maggio 2012), con la regia di Robert Carsen (regista assistente Laurie Feldman),
le scene di Radu Boruzescu, i costumi di Miruna Boruzescu e le luci di Peter
Van Praet.L’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice saranno diretti da Gabriele Ferro, maestro del Coro
Claudio Marino Moretti. Nel grande ed enigmatico ruolo della protagonista
Emilia Marty alias Elina Makropulos,
l’affascinante prima donna vissuta trecentotrentasette anni grazie a un elisir
di lunga vita scoperto dal padre alchimista nella Praga del XVI secolo, vi sarà
il soprano spagnolo Ángeles Blancas Gulín, già protagonista nel 2012
dell’altrettanto impegnativo ruolo di Lou in Lou Salomé di Giuseppe Sinopoli. Intorno a lei si muoveranno il
baritono cèco Martin Bárta nel ruolo del barone Jaroslav Prus, il tenore veronese
Enrico Casari in quello di suo figlio Janek, il tenore cèco Ladislav Elgr in
quello di Albert Gregor, il tenore svizzero Andreas Jäggi in quello del vecchio
conte Hauk-Šendorf, il baritono italo-spagnolo Enric Martínez-Castignani in
quello dell’avvocato Kolenatý, il tenore mantovano Leonardo Cortellazzi in
quello dell’archivista Vítek e il mezzosoprano cèco Judita Nagyová in quello di
sua figlia Krista. Il soprano Leona Pelešková interpreterà i ruoli della
cameriera e della donna delle pulizie, il basso William Corrò quello del
macchinista.
Il tema della senilità, nelle sue
molteplici implicazioni e sfumature, affascinò sempre Leos Janácek fin da
quando, confinato nella provincia asburgica, attendeva che qualcuno
riconoscesse il suo talento. Scoperto tardi, oltre i 60 anni, dalle platee
internazionali, Janáček produsse la parte più significativa del suo catalogo –
cinque capolavori tra cui Kát’a Kabanova,
La volpe astuta e Da una casa di morti – tra il 1920 e il
1928, quando si spense a 74 anni, nel pieno di una sorta di primavera creativa
fecondata dalla passione per la giovane Kamila Stösslová, musa ispiratrice di
tutti i suoi ultimi lavori. Se la riflessione sulla vecchiaia percorre tutte le
sue opere estreme, in nessuna di esse la
longevità occupa il centro della scena quanto in Věc Makropulos (Il caso
Makropulos, 1926), opera «storica moderna» incentrata sulla figura
fantastica di Elina Makropulos. Questa donna enigmatica, nata a Praga nel 1585
da un alchimista greco che sperimenta su di lei un elisir di lunga vita, più di
tre secoli dopo, a inizio Novecento, è ancora una cantante di fascino
irresistibile e tecnica perfetta, idolatrata all’Opera di Vienna sotto lo
pseudonimo di Emilia Marty. Ma la sua longevità è una sorta di limbo doloroso
in cui la protagonista, eternamente giovane d’aspetto ma ormai vecchia dentro, vive
senza più passioni né desideri, fino a quando, sopraffatta da un intollerabile
senso di vanitas, decide di
affrontare il trapasso a viso aperto. Il soggetto dell’opera fu suggerito a
Janáček dall’omonima commedia del drammaturgo boemo Karel Čapek, cui il
compositore assistette nel dicembre 1922 al Teatro Vinohrady di Praga,
rimanendone come folgorato. Chiesta a Čapek l’autorizzazione per l’adattamento
operistico del suo testo, nell’autunno 1923 Janácek cominciò a scrivere l’opera
in un flusso continuo – dalla prima stesura terminata nello stesso 1923 alle
due successive del 1925 –, fino alla prima dell’opera avvenuta a Brno il 12
dicembre 1926 e alla sua ripresa a Praga il 1° marzo 1928, ultima rappresentazione
di un suo lavoro cui il compositore poté prendere parte, solo cinque mesi prima
della sua scomparsa. Da sempre affascinato dalla scienza reale mescolata alla science
fiction, Čapek – ammiratore
di H. G. Wells e inventore tra l’altro del termine «robot» – era riuscito a
raggiungere nella sua commedia una sintesi perfetta tra una trama contemporanea
degna di un romanzo giallo (nella quale gli indizi sulla vera identità della
protagonista si accumulano in modo inquietante chiarendosi solo nell’ultima
scena), uno sfondo storico di grande suggestione (la Praga esoterica del
Cinquecento e trecento anni di storia teatrale percorsi attraverso le diverse
incarnazioni della prima donna), e un’invenzione narrativa ispirata in chiave
fantascientifica alle ricerche sulla longevità del biologo russo Il’ja Il’ič Mečnikov,
premio Nobel nel 1908. A questi ingredienti Čapek aggiunse una riflessione sul
senso della vita e sulle terribili conseguenze di un’innaturale longevità,
riflessione che Janáček riprese nella sua opera – direttamente basata, con
qualche taglio e qualche condensazione, sul testo in prosa della commedia –,
trasformando però nel finale il dibattito filosofico in struggente sostanza
drammatica. Tramutando l’orrore per la tricentenaria protagonista (che suggella
la pièce di Čapek con un’estrema
risata di scherno) in profonda compassione per un essere costretto suo malgrado
a una vita artificiale (che in una sorta di regressione all’infanzia muore
mormorando le prime parole del Padre
nostro in greco), Janáček fa di Elina Makropulos un paradigma della
condizione umana e della sua vicenda la prova tangibile che non è l’eternità in
sé, ma solo il suo anelito, a dare un senso pieno alla vita. Dal punto di
vista musicale Janácek sviluppò ulteriormente il suo originalissimo linguaggio
basato sull’esigenza interiore di fissare, in una sorta di «istantanee
dell’anima», motivi tra loro incatenati in una sorta di eloquio combinato fra
canto e orchestra, con lo scopo di aderire il più strettamente possibile alla
cadenza della lingua parlata e di dare all’ascoltatore l’impressione di udire
un lungo discorso, con tutte le sue inflessioni (di tono alto e basso) e
atteggiamenti (sentimentali, pubblici, ecc.). Impostato secondo un persistente
e rigoglioso fluire di cellule tematiche ritmico-melodiche che, seppur nella
loro brevità, agiscono da suggestivo contrasto alla caratteristica asprezza del
declamato vocale, l’apporto orchestrale è inteso quale mutevole e vivido
commento di un dramma ‘di parola’ che però si accende qua e là di improvvisi
slanci emotivi fino al magnifico culmine espressivo del finale. Contribuisce poi
in maniera determinante a dipingere il senso del dramma il timbro, variegato e
mirabilmente duttile, che con calibratissimo dosaggio del suo peso specifico –
dai silenzi reiterati con cui nell’atto secondo l’orchestra svela il crescente
turbamento di Emilia di fronte all’incalzante indagine condotta da Prus, alla
ricchezza a tratti ridondante che rende ancora più commosso il canto d’addio
conclusivo dell’eroina – è chiamato a definire molti dei nodi della trama.
La prima di venerdì 15 marzo 2013 (trasmessa
in differita su Rai Radio3) sarà seguita da quattro repliche, domenica 17
(turno B) alle 15.30, martedì 19 (turno D) e giovedì 21 (turno E) alle 19.00, e
sabato 23 (turno C) alle 15.30. L’opera, proposta a Venezia con il contributo
di Long Life Formula, sarà presentata in lingua originale con sopratitoli in
italiano e in inglese.