«Il passato costituisce, per noi, una solida radice su cui far crescere un albero robusto. Non abbiamo
paura di difenderlo, ma sappiamo anche protenderci verso nuove esperienze»
Pionieri nell’esecuzione della musica italiana del
Settecento, con la prima incisione in assoluto de Le Quattro Stagioni di
Vivaldi (primo disco di musica classica della Philips, 1963, che ha venduto,
nelle varie edizioni oltre 25 milioni di copie ricevendo il disco di Platino
con Diamante), I Musici sono il
gruppo da camera più longevo in assoluto. 60 anni di attività e una
serie di importanti record li caratterizzano: hanno girato il primo film-video
musicale classico negli anni ’70 e portato il nome di Roma, dell’Italia e della
musica italiana nel mondo, spaziando con il loro repertorio dal Settecento alla
musica contemporanea; molti compositori (tra i quali Nino Rota, Ennio Porrino, Valentino
Bucchi, Louis Bacalov ed Ennio Morricone) hanno composto espressamente per loro.
Di altissimo livello i musicisti che ne hanno fatto parte: Franco Tamponi, Felix Ayo, Roberto Michelucci, Salvatore Accardo, Pina Carmirelli, Federico Agostini, Mariana Sirbu, Antonio Salvatore, Arnaldo Apostoli, Italo Colandrea, Anna Maria Cotogni, Walter Gallozzi, Luciano Vicari, Dino Asciolla, Aldo Bennici, Paolo Centurioni, Carmen Franco, Alfonso Ghedin, Bruno Giuranna, Enzo Altobelli, Mario Centurione, Francesco Strano, Lucio Buccarella, Maria Teresa Garatti, Aldo D'Amico, Antonio de Secondi, Paolo Ghidoni, Stefano Morgione, Marcello Panni, Antonio Perez Ruiz, Roberto Sensi.
Negli anni, il gruppo ha saputo rigenerarsi e rinnovarsi, grazie alla fusione tra l’esperienza dei componenti più anziani e l’energia dei più giovani: ma…
Chi sono oggi I Musici? Cosa è rimasto di quei 12 ragazzi che “impressionarono” anche Arturo Toscanini (“Ho sentito dodici ragazzi… bravi, bravissimi: no, non muore la musica!)?
L’ho chiesto a Francesco Buccarella, clavicembalista de I Musici che il prossimo 20 novembre saranno ospiti della Società del Quartetto di Milano.
Di altissimo livello i musicisti che ne hanno fatto parte: Franco Tamponi, Felix Ayo, Roberto Michelucci, Salvatore Accardo, Pina Carmirelli, Federico Agostini, Mariana Sirbu, Antonio Salvatore, Arnaldo Apostoli, Italo Colandrea, Anna Maria Cotogni, Walter Gallozzi, Luciano Vicari, Dino Asciolla, Aldo Bennici, Paolo Centurioni, Carmen Franco, Alfonso Ghedin, Bruno Giuranna, Enzo Altobelli, Mario Centurione, Francesco Strano, Lucio Buccarella, Maria Teresa Garatti, Aldo D'Amico, Antonio de Secondi, Paolo Ghidoni, Stefano Morgione, Marcello Panni, Antonio Perez Ruiz, Roberto Sensi.
Negli anni, il gruppo ha saputo rigenerarsi e rinnovarsi, grazie alla fusione tra l’esperienza dei componenti più anziani e l’energia dei più giovani: ma…
Chi sono oggi I Musici? Cosa è rimasto di quei 12 ragazzi che “impressionarono” anche Arturo Toscanini (“Ho sentito dodici ragazzi… bravi, bravissimi: no, non muore la musica!)?
L’ho chiesto a Francesco Buccarella, clavicembalista de I Musici che il prossimo 20 novembre saranno ospiti della Società del Quartetto di Milano.
Era
il 1951 quando 12 ragazzi, da poco diplomati, decidono di unirsi per fare
musica e “dare un senso compiuto alla loro passione”: pochi mesi dopo, il 30
marzo 1952 il debutto a Santa Cecilia salutato con un grandissimo successo di
critica e di pubblico. Sono passati 60 anni da allora e I Musici sono il più
longevo ensemble: che effetto fa? È sicuramente un grande onore far parte di un’entità
così prestigiosa: questo è quanto mi viene da dire, così di primo acchito, come
componente. Un onore e una grande responsabilità. L’affetto con cui siamo
accolti in ogni parte del mondo ci fa percepire quanto di buono sia stato fatto
in questi 60 anni dai nostri predecessori: si ha la sensazione che si sia
creato quasi un legame indissolubile con il pubblico che, però, nel tempo è cambiato, così come noi stessi.
Una sorta di magia temporale: affascinante ma, come dicevo prima, anche una
grande responsabilità. Essere all’altezza di chi ci ha preceduto non è facile perché le aspettative sono sempre molto alte. Da parte nostra ce la
mettiamo tutta e speriamo che fra altri 60 anni ci sia ancora qualcuno che
risponderà a queste domande al posto nostro.
Negli anni la formazione si è rigenerata: come siete riusciti
a conciliare l’esperienza dei componenti più anziani con l’energia dei più
giovani?
I giovani
che hanno via via sostituito i membri più anziani che si ritiravano dal gruppo
hanno sempre avuto un grande rispetto per la storia del gruppo di cui andavano
a far parte. Questo, unito al fatto che gli anziani hanno sempre avuto una
grande spinta a guardare in avanti, ha creato un legame positivo fra
esperienza e novità. Da un lato, gli anziani hanno saputo instillare nei
giovani lo spirito di collaborazione insito nel gruppo; dall’altro, i giovani
hanno saputo stimolare con la loro naturale spinta all’innovazione l’interesse
dei più attempati. Una sorta di osmosi di informazioni e sentimenti che fino a
oggi, devo dire, non ci ha mai tradito.
I fondatori de I Musici si sono un po’ alla volta ritirati:
cosa è rimasto della formazione iniziale? Chi sono oggi I Musici? Quello che mi auguro non cambi mai
nel nostro complesso è la passione e l’amore per la musica. Nell’arco di questi
anni potete bene immaginare come molti musicisti si siano alternati all’interno
del gruppo: nel 2007 l’ultimo dei fondatori, Lucio Buccarella, ha lasciato il
gruppo, creando all’inizio quasi un senso di smarrimento da mancanza di punti
di riferimenti. È stata, forse, la prova più dura da superare anche per
convincere pubblico e manager che, pur non essendo più gli stessi, eravamo
comunque sempre I Musici. Da Felix Ayo a Roberto Michelucci, da Luciano Vicari
ad Anna Maria Cotogni, da Arnaldo Apostoli ad Antonio Perez, da Enzo Altobelli
a Francesco Strano, da Pina Carmirelli e Salvatore Accardo, da Federico
Agostini a Mariana Sirbu e Antonio Salvatore, da Maria Teresa Garatti a Bruno
Giuranna e Dino Asciolla, da Mario Centurione a Cino Ghedin: ecco solo alcuni
dei nomi che hanno fatto la storia del gruppo. Tutti hanno lasciato un
contributo, una traccia che ognuno dei componenti attuali sa di dover seguire e
proseguire per lasciarla a sua volta un giorno a qualcun altro. Oggi i 12
componenti sono equamente ripartiti tra giovani e membri storici: sono infatti
presenti 4 musicisti che da oltre 30 anni calcano i palcoscenici di tutto il mondo
sotto il nome de I Musici. Sono Pasquale Pellegrino, Claudio Buccarella,
Massimo Paris e Vito Paternoster: mi piace citarli perché rappresentato un
pezzo di storia che non si può trascurare. A loro è stato lasciato il compito
di formare i giovani affinché possano poi, a loro volta, formare la prossima
generazione. Ecco: oggi I Musici sono un mirabile equilibrio di passato e
presente, ma con lo sguardo sempre al futuro.
I Musici sono stati i primi a incidere Le Quattro Stagioni di Vivaldi, primo cd di musica classica della
storia, vendendone la cifra di 25 milioni di copie nelle varie edizioni: a cosa
è dovuto un tale successo? Questo bisognerebbe chiederlo in primis alle persone che hanno
acquistato le nostre registrazioni. Scherzi a parte, ritengo che il successo
sia dovuto, innanzitutto, alla straordinaria bellezza della composizione di cui
stiamo parlando. Personalmente, lo trovo uno tra i pochissimi brani che si
possono ascoltare e riascoltare senza “stancare” le orecchie: così ricco di
creatività, di bellezza musicale. Un capolavoro, insomma! Per queste sue
caratteristiche lo accosterei alla Sinfonia
in sol minore di Mozart. Un'altra ragione sta, sicuramente, nella
straordinaria comunicatività tipicamente italiana del brano, con il fascino che
ciò esercita sul pubblico di tutto il mondo. Inoltre, I Musici hanno fatto de Le Quattro Stagione una sorta di loro
“brand” personale, anche se ovviamente ne esistono decine di versioni di tutti
i tipi: da quella di Von Karajan a quelle filologiche con strumenti originali.
E, per finire, non dobbiamo trascurare il fatto che un brano come questo piace
a persone dei più disparati livelli culturali e generazionali in quanto si
presta a essere letto su molti livelli: dall’ascolto più disimpegnato delle
bellissime melodie alle considerazioni più filosofiche sul ciclo della vita.
Vede bene, dunque, che la scelta di farne il fulcro del repertorio fu
azzeccata. Anche di questo dobbiamo ringraziare coloro che all’epoca si
tuffarono a capofitto in una scommessa che poteva apparire tutt’altro che vinta
in partenza, considerando soprattutto che, in quegli anni, raramente Le Quattro Stagioni venivano eseguite
tutte insieme, come I Musici tra i primi fecero, dando inizio a un'usanza oggi
ormai consolidata.
Siete stati anche i primi a realizzare, negli anni ’70, un
film-video musicale classico, Le Quattro
Stagioni con Roberto
Michelucci: come nacque il progetto? Il progetto nacque su iniziativa del regista e produttore
Reiner Moritz, molto attivo nel campo della regia di eventi e filmati di musica
classica. Con la collaborazione della Rai, della francese Ortf e di una
televisione giapponese si diede forma al progetto: venne individuata una
splendida villa palladiana con giardini all’italiana nel Veneto. E lì, vestiti
in costume del Settecento, I Musici si mossero come attori-musicisti in uno dei
primi esempi di questo genere. Il film fu poi trasposto sui primi formati
dedicati all’intrattenimento home-video, come videocassette, laser disc e così
via. Fu davvero un evento all’epoca: devo dire che, anche dopo tanti anni, il
film è ancora molto bello da vedere e da “sentire”.
Nel
corso di questi 60 anni di attività avete raggiunto altri importanti primati:
avete portato il nome di Roma, dell’Italia e della musica italiana nel mondo,
spaziando con il repertorio dal Settecento alla musica contemporanea e molti
compositori hanno scritto espressamente per voi. Qual è il segreto di un tale
successo, per giunta così duraturo? Non
so se il successo abbia dei segreti. Per quanto riguarda I Musici posso dire
che sul palcoscenico noi siamo sinceri. E appassionati. Probabilmente il
pubblico percepisce queste nostre emozioni e si lascia coinvolgere dalla nostra
passione per la musica. Il nostro scopo è sempre il dialogo: con lo spartito,
con l’autore, con gli strumenti, con noi stessi, con il pubblico. Posso citare anche
un piccolo aneddoto: nel mese di ottobre del 2011 abbiamo effettuato una
bellissima tournée in Giappone, a pochi mesi dalla devastazione dello tsunami
con tutti ciò che ne è conseguito. Abbiamo suonato nelle sale più importanti ma
anche in piccole città di provincia con sale da 7-800 posti (piccole per lo
standard nipponico…): al termine dei concerti, durante la cena di commiato con
il nostro manager, abbiamo avuto i sinceri apprezzamenti per il nostro lavoro,
soprattutto per il fatto che, nonostante i tanti concerti e i viaggi faticosi,
anche nei Paesi più piccoli e lontani mai avevamo dato l’impressione di stare
sul palco per routine: avevamo dato sempre e a tutti il 100% di noi stessi.
Ecco, forse qui sta il vero segreto: non risparmiarsi mai e dare sempre tutto!
Fin
dalle origini l’ensemble ha deciso di esibirsi senza direttore: perché questa
scelta?
Ho parlato
più volte con i membri storici e i fondatori del gruppo di quest’argomento: l’idea
era quella di ritornare allo spirito dei gruppi proprio del periodo Barocco
italiano, in cui le piccole orchestre non avevano un vero e proprio direttore,
o non sempre perlomeno, e il Primo violino fungeva da direttore “suonante”. Se
vogliamo fare un paragone calcistico, è un po’ come una squadra che ha l’allenatore
in campo a giocare con gli altri. Questa scelta fu avallata, fortunatamente per
il gruppo, nientemeno che da Arturo Toscanini, il quale da direttore avrebbe
potuto benissimo criticare e addirittura bocciare questo tentativo: al
contrario, se ne rivelò entusiasta a tal punto da lasciare scritta la famosa
frase che costituì il primo grande viatico del complesso: “Ho sentito un gruppo
di giovani ragazzi, bravi, bravissimi: no, non muore la musica!”. Poteva andare
meglio di così?
Nel settembre del 2011 è uscito per Fonè un nuovo disco con i
Concerti per archi e continuo di
Antonio Vivaldi, dopo l’incisione, nel
2009, del Concerto per archi che Nino
Rota aveva composto appositamente per I Musici nel 1965. Perché questo
ritorno alla musica del ‘700? È innegabile che il repertorio
italiano del ‘700 abbia rappresentato gran parte della fortuna de I Musici e che
sia stato l’elemento principale del successo iniziale. D’altronde, la
freschezza di questa musica, la sua solarità, la sua capacità di sorprendere
l’ascoltatore con le sue trovate melodiche, armoniche, ritmiche, insomma la sua
“attualità” sono ben note. Dunque, dopo aver toccato il repertorio di inizio e
metà Novecento con il disco dedicato a Respighi, Puccini, Bossi e Rota, siamo
tornati indietro e abbiamo di nuovo poggiato lo sguardo sul ‘700: dapprima, con
un disco intitolato Concerti e Follie al
tempo di Pergolesi, pubblicato nel 2010 in occasione del tricentenario
della nascita del compositore jesino e contenente musiche oltre che di
Pergolesi di Vivaldi (immancabile…), Geminiani e Durante. L’anno scorso, poi,
il cd preparato per il nostro anniversario ha preso forma come un omaggio al
compositore che più di ogni altro ha decretato il successo del complesso in
questi 60 anni, ossia Antonio Vivaldi. Abbiamo scelto una piccola serie di
concerti e sinfonie per archi che ben descrivono la genialità del Prete Rosso e
le abbiamo fatte nostre per dare al pubblico che ci segue da tanti anni
l’opportunità di sentire dove sono I Musici in questo momento. Una sorta di
vetrina-specchio per noi stessi e per chi ci ascolta.
Nonostante il passare degli anni e il rigenerarsi della
formazione la qualità esecutive che hanno sempre contraddistinto la formazione
sono rimaste intatte. Come è stato possibile? Evidentemente si è sempre ben scelto i nuovi componenti
che si sono succeduti: questo, però, al di là della battuta, non sarebbe stato
sufficiente. È chiaro che esiste un’idea che sottintende alla nostra attività,
alle nostre prove, ai nostri concerti, che è quella di fare musica con
passione. Questo non lascia spazio ad altro che non sia studio, impegno,
concentrazione, volontà e sacrificio. Sul palco siamo impegnati sempre
totalmente, e così quando ci incontriamo per studiare. Ma non c’è mai stata una
strategia in tal senso: è sempre stato tutto molto spontaneo e naturale. Questa
è senz’altro una grande fortuna: speriamo di non sciupare mai questo capitale
di stima e fiducia che abbiamo accumulato in tanti anni. Anche di questo
bisogna ringraziare naturalmente il pubblico che è stato sempre il nostro primo
è più importante supporto.
Uno dei primi concerti dell’ensemble avvenne il 20 febbraio
1957 alla Società del Quartetto di Milano dove tornerete martedì 20 novembre. L’ultimo
concerto per la Società milanese risale al 1978: perché un’assenza di 34 anni
da Milano? Questo è
difficile da dire. L’attività di un gruppo come il nostro segue un po’ gli
andamenti del “mercato” (brutta parola riferita alla musica ma al momento non
saprei trovarne una migliore), e negli Anni ‘70 e ‘80 l’attività all’estero era
davvero preponderante, per cui fu in un certo senso quasi naturale trascurare il
nostro Paese. Passato questo periodo, come si può immaginare, si era creata
quasi una resistenza al nostro rientro su questo mercato, e il contemporaneo
nascere di gruppi specializzati nel Barocco aveva, per così dire, riempito ogni
Stagione da Camera. C’è voluto del tempo per far ritornare a conoscere il
nostro nome e le nostre esecuzioni qui in Italia ma negli ultimi due, tre anni
abbiamo effettuato ormai una ventina di concerti, tra i quali mi piace citare
quello tenuto il 30 marzo 2012 a S. Cecilia in occasione del 60° del debutto
pubblico de I Musici. Con questa data di Milano possiamo considerare conclusa questa
lunga operazione di “ritorno a casa”: una casa dove torniamo con grande
entusiasmo e pronti a continuare il lavoro che stiamo portando avanti.
Per
l’occasione riproporrete lo stesso programma di quello storico concerto…
Ci piaceva riallacciarci a quanto proposto allora: in
realtà, nei nostri programmi cerchiamo sempre di alternare brani popolari (come
Le Quattro Stagioni in questo caso)
ad altri meno noti, come il Concerto per
clavicembalo di Giordani e quello per violoncello di Vivaldi. La prima parte
del programma, poi, rappresenta, con l’aggiunta della Follia di Geminiani, una sorta di viaggio musicale nel nostro Paese,
spaziando anche geograficamente dal Nord al Sud (considerando le origini degli
autori). Il passato, chiaramente, costituisce per noi una solida radice su cui far
crescere un albero robusto. Non abbiamo paura di difenderlo ma sappiamo anche
protenderci verso nuove esperienze. Spero che questo programma piaccia perché
rappresenta bene questi concetti a noi molto cari.
Adriana Benignetti