V appuntamento della
Stagione 2012/2013 dell’Orchestra Sinfonica Verdi di Milano
È
un viaggio musicale a ritroso nel tempo quello presentato, giovedì 11 ottobre 2012, all’Auditorium di Milano Fondazione
Cariplo, come V appuntamento della Stagione Sinfonica 2012/2013: Sciortino,
Castelnuovo-Tedesco, Brahms. Un accostamento interessante, quasi a scandire
l’oggi, l’ieri e l’altro ieri in musica.
Si
comincia con la prima esecuzione assoluta di Träume (Trauer) Stimmen, brano del 2012 del giovanissimo
compositore e pianista Orazio Sciortino (Siracusa, 1984).
È un movimento unico, un grande accelerando
che in pochi minuti (10) racconta l’esperienza del sogno, rivelatrice della
complessità del nostro essere. Sogno
(lutto) voci, un titolo che esplica già il contenuto: una trama compositiva
densa di stratificazioni timbriche, ritmiche ed espressive che si sovrappongono
e si contrastano, allo stesso tempo. Voci che emergono improvvise e poi
spariscono lasciando traccia di sé: voci che ritornano assumendo colore e
significato differente. Una grande parabola che bene descrive quel momento così
intimo e di totale abbandono che è la dimensione onirica, nella quale sogni e
ricordi, speranze e ferite, gioie e dolori si incontrano e si scontrano
rivelandoci il nostro io più profondo e complesso. Un brano descritto dallo stesso
compositore – che, presente in sala, ha ricevuto applausi e apprezzamento del
pubblico – ottimamente nella conferenza di presentazione del
concerto, rivelando, oltretutto, grande spessore intellettuale e notevoli
capacità oratorie.
Dal
2012 si passa al 1931-32, anni di composizione del Concerto n. 2 per violino e orchestra op. 66 “I Profeti”, di Mario
Castelnuovo-Tedesco, compositore (ahimè!) ancora sconosciuto a gran parte del
pubblico italiano. Allievo prediletto di Ildebrando
Pizzetti per la composizione e di Edgardo Del Valle de Paz per il pianoforte, Mario Castelnuovo-Tedesco (Firenze
1895 – Los Angeles, 1968), occupò un posto di grande rilievo sulla scena
musicale internazionale come compositore, pianista e critico musicale nel primo
Novecento. Costretto, a causa delle leggi razziali (proveniva da una famiglia
di banchieri ebrei), a espatriare in America nel 1939 (dove si dedicò anche
alla composizione di colonne sonore), Castelnuovo-Tedesco fu molto amato da
grandissimi interpreti come Toscanini, Pjatigorskij, Barbirolli e Heifetz. E
proprio per il grande violinista (e con il suo contributo diretto) fu scritto
questo concerto “il più ambizioso dei miei progetti” come lo definì lui stesso.
Un brano che mette in luce l’elemento ebraico e che fu scritto dal compositore proprio
come “un atto di solidarietà col popolo oppresso” al quale voleva far sentire
la propria testimonianza artistica. Diviso nei classici tre tempi, ognuno
associato a un profeta, il concerto inizia con un’atmosfera solenne nel primo
movimento, Grave e meditativo
(Isaiah) – e qui un plauso va anche alla pregevole prova dell’arpista Elena Piva che (ed è una particolarità
del concerto), nella cadenza del primo movimento, dialoga fittamente con il
violino – diviene accorato nell’Espressivo e dolente (Jeremiah) fino al Fiero e impetuoso, ma sostenuto e ben marcato il ritmo (Eliah). Un
concerto dalle notevoli difficoltà tecniche che ben evidenzia il tratto
teatrale e brillante della musica di Castelnuovo-Tedesco, ma che ne mette in
luce anche la dimensione più espressiva e dolente. Un concerto magnificamente
reso da Domenico Nordio, violinista
dalla tecnica solidissima ed estremamente nitida, ma mai fine a se stessa, dal
fraseggio curatissimo e dal bellissimo suono che evidenzia al meglio le
sfumature timbriche ed emotive della partitura. Nordio, lo si percepisce fin da
subito, ama questo concerto, lo conosce profondamente e, soprattutto, si diverte a eseguirlo. Richiamato più volte dagli applausi del pubblico, il
violinista concede anche un bis: l’Andante
dalla Sonata n. 2 di Johann
Sebastian Bach.
Infine,
il viaggio musicale nel tempo ci conduce al 1883 con la Sinfonia n. 3 in Fa maggiore op. 90 di Johannes Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897),
composizione che ben riflette la raggiunta maturità artistica e, soprattutto, il
periodo felice della vita del compositore, all’apice della fama in quegli anni:
una sinfonia che coniuga perfettamente l’economia del
materiale musicale al rigore della forma e alla libertà armonica.
Un’ottima prova quella dell’Orchestra
Sinfonica Verdi di Milano che
dimostra di essere davvero una delle formazioni più duttili della scena
musicale odierna: duttilità che ben si manifesta nel trovarsi perfettamente a proprio
agio in repertori così differenti, ma anche nel restituire al meglio l’impronta
di chi la guida, pur mantenendo la propria identità. Ed è una bella impronta
davvero quella lasciata da Gaetano d’Espinosa,
nel quale sembrano aver trovato un perfetto equilibrio il calore mediterraneo
(è palermitano di nascita) e il rigore d’oltralpe (studi a Dresda): una lettura
profonda e intensa della partitura, la sua, unita a un bel gesto e a una
concentrazione ininterrotta dal principio alla fine. Una lettura che trova nell’amalgama
del suono de laVerdi, particolarmente
omogeneo nella resa degli archi, la sua espressione più felice.