Le Béatitudes di César Franck non richiedono alcuna messa in scena, sono musica, sempre, e per giunta sempre la stessa bella musica… Franck era un uomo senza malizia cui, per la gioia di un giorno, bastava la scoperta di una bella armonia. E se si esamina un po’ da vicino il testo poetico delle Béatitudes, vi si trova un assortimento di immagini e truismi tale da far indietreggiare l’uomo più risoluto.
Ci voleva il genio sano e tranquillo di Franck per poter attraversare tutto questo col sorriso sulle labbra; il buon sorriso dell’apostolo che predica la buona novella dicendo: «Lasciate fare… Dio riconoscerà sempre i suoi».
Tuttavia, da una strana impressione ascoltare la melodia, tanto caratteristica di César Franck su versi che disonorerebbero la più banale canzonetta. Del resto, si è parlato molto del genio di Franck senza mai dire che cosa lo rende unico: l’ingenuità. Quest’uomo, che fu infelice e incompreso, aveva un’anima di fanciullo così straordinariamente buona da poter contemplare senza acredine la malvagità degli uomini e le contraddizioni degli eventi. È così che egli scrisse quei cori troppo facilmente drammatici, quegli svolgimenti di un grigiore faticoso e ostinato che ci sembrano a volte guastare la bellezza delle Béatitudes con un candore fiducioso che diventa mirabile quand’egli si trova faccia a faccia con la musica, dinanzi alla quale si inginocchia mormorando la preghiera più profondamente umana che sia mai scaturita da anima mortale. Egli non pensa mai male, né sospetta la noia.
Nessuna traccia di quell’astuzia, flagrante in Wagner, con cui quest’ultimo ravviva l’attenzione di un pubblico stanco, talvolta, di una troppo continua trascendenza, eseguendo una piroetta sentimentale o orchestrale. In Franck vi è una costante devozione alla musica, da prendere o lasciare; nessuna forza al mondo poteva ordinargli di interrompere un periodo che egli crede giusto e necessario; per quanto lungo, bisogna passare di là. Questo è davvero il segno di una disinteressata fantasticheria, che si vieta qualsiasi singhiozzo di cui non abbia prima saggiato la sincerità. In questo, César Franck si apparenta ai grandi musicisti per i quali i suoni hanno un senso esatto nella loro accezione sonora; essi ne fanno uso in modo preciso, senza esigere mai qualcosa di diverso da ciò che vi è racchiuso. Ecco la differenza tra l’arte di Wagner, bella e singolare, impura e seducente, e quella di Franck, che serve la musica senza quasi chiederle alcuna gloria. Ciò che prende dalla vita, egli lo restituisce all’arte con una modestia che giunge fino all’anonimato; mentre Wagner, quando prende qualcosa dalla vita, la domina, la sopraffà e la costringe a gridare il nome di Wagner più forte delle trombe della Fama.
Avrei voluto fissare meglio l’immagine di César Franck, perché ogni lettore ne conservasse un ricordo preciso. È giusto, fra tante incombenti preoccupazioni, pensare ai grandi musicisti e soprattutto far pensare a loro. Ho colto l’occasione del Venerdì Santo per rendere omaggio a uno dei maggiori, considerando che questo omaggio rispondeva all’idea di sacrificio evocata dalla grandezza dell’uomo nella santità di questo giorno.
Claude Debussy
Saint-Germain-en-Laye, 1862 - Parigi, 1918 (Foto: settemuse.it) |
(Claude Debussy, Il signor Croche antidilettante, a cura di Valerio Magrelli, Adelphi Edizioni, Milano 2003, pp. 96-98)
Adriana Benignetti