sabato 28 maggio 2011

A colloquio con Ivan Fedele, compositore "filosofo"

«Non ho dovuto “conquistare” la musica contemporanea: per me è stato naturale accettarne l’esistenza»

 (Foto: voxroma.it)
Incontrare Ivan Fedele lascia un segno, forte e indelebile. Perché conoscerlo e ascoltarlo significa partecipare, in qualche modo, a una lezione esclusiva sulla storia della musica o, si potrebbe dire, sulla vita in generale. 


Significa affrontare un viaggio in compagnia dei grandi compositori del presente – che nei suoi racconti e aneddoti risaltano, ancora più grandi – senza dimenticare i geni del passato, fondamentali come fondamentale è un rapporto sano con la storia, con le proprie radici. «Il compositore, più in generale l’uomo che vive nella società d’oggi, è come un albero. Poggia su un terreno fertile che rappresenta la nostra storia, in una visione geologica, non lineare. Il compositore crea il nuovo, ma attingendo dal suo passato, dalla sua storia e non potrebbe fare altrimenti. Non è un attingere diretto, ma una trasformazione di qualcosa in qualcosa d'altro. Non bisogna negare il passato, le radici, perché sarebbe impossibile avere nuovi frutti, ma neanche fare come gli struzzi che mettono la testa nel terreno: quello è il momento in cui l’albero veramente non darà più foglie e frutti».

Incontro Ivan Fedele nella sua casa milanese che riflette, come in uno specchio, la stessa calma e armonia che emana lui, da subito. Quando è a Milano è qui che compone, in giornate scandite dal lavoro e da piccole distrazioni: «Mi piace uscire, fare una passeggiata nel quartiere o dedicarmi alla mia bevanda preferita, il caffè. Spesso ho dei momenti di relax assoluto e riesco anche a dormire un quarto d’ora, venti minuti, per riprendermi». Distrazioni necessarie «perché si arriva sempre a un punto di saturazione dell’attività mentale». 



C’è il grosso vantaggio, è vero, di essere a casa propria, con tutti i comfort; in realtà, Fedele riesce a comporre dappertutto, tranne che in aeroporto, dove i tempi morti, frammentati, sono tanti e non si riesce ad avere continuità. 

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Adriana Benignetti

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