«30 anni di quartetto significano
moltissimo: una scelta di vita che ci ha fatto girare un po' tutto il mondo,
conoscere tantissime personalità del mondo musicale e non. Soprattutto, è stata
un’avventura che ci ha riempito la vita in modo assoluto»
(Foto di Alessandro Bearzot) |
Una tappa di una “splendida avventura” che i 4
musicisti proseguono, con qualche anno in più ma con lo stesso immutato entusiasmo
degli inizi. Alla base, un profondo affiatamento, una sempre rinnovata voglia
di arricchire le proprie conoscenze musicali, ma anche una consapevole scelta
che “ha riempito la loro vita in modo assoluto”. Ne ho parlato con il
violinista Andrea Vio …
Quest’anno festeggiate il 30°
anniversario dalla fondazione del Quartetto: cosa rappresenta per voi
quest’importantissimo traguardo?
Credo
che ben pochi quartetti, in Italia e non solo, siano arrivati a quest’importante
traguardo; anzi, non un traguardo ma una tappa... 30 anni di quartetto
significano moltissimo: una scelta di vita che ci ha fatto girare un po' tutto
il mondo, conoscere tantissime personalità del mondo musicale e non. Soprattutto,
è stata un’avventura che ci ha riempito la vita in modo assoluto.
Come e quando è nato il Quartetto di
Venezia?
Abbiamo
iniziato quasi per gioco, giovanissimi allievi del Conservatorio di Venezia,
quando tra una lezione e l’altra ci fermavamo a leggere, per pura curiosità e
divertimento, i quartetti dei più grandi autori. Dopo pochissimo tempo abbiamo
capito che c’era un grande feeling tra di noi e che quella era la nostra
strada.
Cosa è cambiato e cosa, invece, è
rimasto uguale in questi 30 anni?
Senza
dubbio, gli anni hanno portato una maturità musicale che ci ha dato la
possibilità di leggere e interpretare la musica con sempre diverse prospettive:
ovviamente, arricchendo nel tempo il repertorio, aumenta anche la capacità di
trovare nuove idee musicali, particolari che prima sfuggivano all’orecchio etc.
Per questo motivo, credo che di uguale non sia rimasto nulla, se non
l’entusiasmo e la sempre maggiore voglia di arricchire le proprie conoscenze
musicali.
Tra i vostri punti di riferimento
principali ci sono due storiche formazioni: il Quartetto Italiano e il
Quartetto Vegh. Cosa avete ereditato da queste due scuole?
Sono
state indubbiamente fondamentali, entrambe, per la formazione del Quartetto! Il maestro
Piero Farulli ci ha dato una spinta decisiva nella conoscenza dei Quartetti di Beethoven che lui venerava.
Era un uomo generoso e di grande carisma: cercava di tirar fuori da ogni
allievo la propria grinta e personalità ma aveva anche l’umiltà di unirsi ai
propri allievi. Che grande emozione suonare con lui!
Sandor
Vegh e Paul Szabo sono stati i maestri che ci hanno dato più stimoli nella
ricerca di una nostra identità artistica e con i quali ci siamo sempre trovati
in sintonia. Il loro modo d’intendere lo studio del quartetto era così attento
a ogni particolare che nessun dettaglio sfuggiva. Di fondamentale importanza
erano la tecnica dell’arco, la ricerca timbrica, la chiarezza esecutiva e la
tecnica in tutti i suoi aspetti: il tutto al servizio dell’interpretazione del
brano. Abbiamo avuto la fortuna di suonare Schubert con Paul Szabo [violoncellista
del celebre “Quartetto Vegh”, n.d.r. ]
e un Sestetto di Brahms con lui e
Bruno Giuranna al Palau de la Musica di Barcelona. Momenti memorabili!
Qual è il vostro metodo di lavoro
quando dovete affrontare una nuova partitura?
Lettura
a prima vista per sentire le prime emozioni e avere un’idea di massima del
quartetto; poi, studio individuale in contemporanea con lo studio di assieme.
Con il tempo l’olio del motore gira più fluido: 30 anni sono pur serviti a
qualcosa...
Vi incontrate quotidianamente per
provare?
Sì, a
parte i due giorni d’insegnamento nei rispettivi Conservatori. Faccio sempre il
paragone con un solista: se lui studia ogni giorno un bel po’ di ore, un quartetto
deve studiare almeno quanto lui, se non di più.
Come sono i rapporti all’interno della
formazione? E come nascono le scelte interpretative? Ossia, tra di voi c’è una
sorta di “leader” o un confronto continuo e paritario?
La nostra
idea (ma credo che oggigiorno sia comune a tutti i quartetti) è quella di dare
spazio alle singole personalità tecnico-musicali e decidere insieme le scelte
interpretative. Nel caso ci fossero delle diverse idee si discute e alla fine
si trova un compromesso che quasi sempre si condivide. È come un matrimonio a
quattro: si discute anche animatamente ma poi ci si mette d’accordo.
In questi trent’anni avete dato
particolare risalto al repertorio quartettistico italiano, toccando anche
compositori poco frequentati come Guido Turchi: cosa vi ha indirizzati verso
questa scelta?
(Foto di Alessandro Bearzot) |
Più
che particolare risalto, abbiamo accostato al repertorio più importante (il
nostro repertorio è assai vasto) opere di autori italiani così spesso
ingiustamente dimenticati. Il motivo è molto semplice: a parte la qualità di queste
opere, che riteniamo possano essere tranquillamente accostate al
"grande" repertorio… Siamo o non siamo italiani?
La
discografia del QDV comprende una ventina di CD (tra cui Dynamic, Decca e
Naxos), e siamo fieri di aver fatto conoscere quartetti di autori italiani fino
ad allora sconosciuti, come Malipiero [per l’incisione integrale degli otto Quartetti, il QDV ha ricevuto il “Premio della Critica Italiana”, n.d.r.], Bazzini, Cherubini, Zandonai,
Boccherini, Respighi e Martucci. Il prossimo cd, la cui uscita è prevista a
novembre, conterrà musiche di Alfredo Casella (in prima mondiale) e Guido Turchi.
Avete suonato per i maggiori festival
italiani e internazionali: in questo periodo di profonda crisi, per la cultura
in particolare, è cambiato qualcosa? Come affrontate la situazione?
Dolenti
note... Il QDV, per fortuna, risente in minima parte della crisi: stiamo
suonando nelle maggiori Stagioni italiane e, spesso, anche all’estero. La
preoccupazione maggiore è per quei giovani talenti, e ne abbiamo tanti, che
sono costretti a cercare fortuna altrove: ciò mi rattrista parecchio (e
sappiamo bene che non riguarda solo la musica).
In
linea generale ci sono Paesi, anche quelli che non hanno una tradizione
musicale come la nostra, che ancora sono capaci di investire nella musica colta.
La crisi culturale, e non economica (i soldi ci sono eccome!), sta toccando un
po' tutti ma ci sono Paesi che, nonostante i “mala tempora”, non si permettono
minimamente di toccare il mondo della musica classica.
Un
aneddoto: a Bad Kissingen ero in hotel e, mentre guardavo la TV, tra una
pubblicità di spaghetti e una di auto, comparì quella del BeethovenFest di Bonn.
Inimmaginabile da noi! Perciò, quando certe menti illuminate dicono che la
musica colta non fa business, io rispondo: “Palle!”.
La
verità è che non si è capaci di gestire questo tesoro inestimabile. In Italia
c’è almeno un teatro in ogni città o paese. Ci rendiamo conto delle
potenzialità? Dove sono i privati? Dov'è la politica? I tagli al FUS sono una
vergogna nazionale... Forse, è meglio tacere...
Numerose sono state anche le
collaborazioni con solisti o formazioni: ce n’è qualcuna che ricordate con
particolare emozione?
Beh,
direi che tutte le collaborazioni avute con i nomi più prestigiosi sono state
emozionanti, stimolanti e formative: Bruno Giuranna,”Quartetto Borodin”,
“Quartetto Prazak”, Piero Farulli, Paul Szabo, Oscar Ghiglia, Danilo Rossi (con
lui abbiamo registrato l’integrale dei quintetti di Beethoven per la Dynamic),
Dieter Flury (1° Flauto dei Wiener Philarmoniker), Pietro De Maria, per citare
i più importanti. Esperienze diverse tra loro ma tutte meravigliose.
Che strumenti suonate?
Io
suono un violino Pierre Dalphin (Ginevra 1980), Battiston un Eugenio Degani
(Venezia 1897), di Vacri una viola Otello Bignami (Bologna 1983), Zanin un
violoncello Marcello Giovanni Battista Martinenghi (Venezia 1931). Per più di
una decina d’anni ho avuto la fortuna di suonare due meravigliosi strumenti
della collezione “Il Canale”: Nicolò Amati e Santo Serafino. Siamo sempre
disponibili a prendere seriamente in considerazione una fondazione o un
collezionista per avere in prestito un quartetto di strumenti antichi di
valore. In altri Paesi spesso viene data questa concessione da parte di Musei, Università,
collezionisti etc.
Numerose sono anche le incisioni
discografiche: come vivete e affrontate la registrazione in studio?
Direi
che oggigiorno si vive abbastanza bene e con la dovuta tranquillità: in studio
è tutto più facile: diversamente, una registrazione live crea una bella e sana
tensione. Ricordo molto bene una trasmissione dal vivo a New York, per la Radio
del New York Times (WQXR): Quartetto di Verdi, studio da radio con
acustica secca… 3-2-1: go! Provare per credere.
Riascoltando a distanza di anni
un’incisione vi è capitato di non condividere più le scelte interpretative
passate?
Già
dal giorno dopo... Le cose hanno una naturale evoluzione, cambiano: come cambia
il modo di sentire certi particolari, passaggi, sfumature di suono, fraseggi,
accenti che avresti voluto fare... Non saremmo umani se non fosse così.
Un concerto che vi è rimasto
particolarmente impresso…
Sono
tanti ma uno per tutti: era l’ottobre del 1983, al Teatro la Fenice, quando ci
fu la prima uscita ufficiale del Quartetto di Venezia (avevo 20 anni). La
mattina del concerto mi recai in biglietteria per chiedere se ci fossero ancora
biglietti disponibili, ma giunto al teatro guardai il cartellone: “TUTTO
ESAURITO”. Spalancai gli occhi e mi prese il terrore... Mi chiedevo come fosse
possibile: nessuno ci conosceva. La sera del concerto entrammo in palcoscenico
col cuore che batteva a mille. Era davvero tutto pieno e pensammo: “Che
spettacolo: questa è la nostra strada!”.
Adriana Benignetti